LA LEGA DEGLI STRAORDINARI GENTLEMEN: MOORE SENZA FRENI! – N-Files

UN IMPROBABILE GRUPPO DI RETICENTI EROI RISCRIVE LA STORIA DELLA LETTERATURA

Manuel Enrico 4 Gen 2017

Ci sono fumetti che entrano di diritto nella storia delle nuvole parlanti. Può essere perché disegnati in modo superlativo, per una trama particolarmente intrigante o per un fortunato mix delle due componenti; personalmente, la componente che più mi affascina è la parte narrativa, la trama dietro il disegno. Ci sono designatori che con la loro bravura riescono ad offuscare la capacità di un autore, rapendo completamente il lettore (quanti rimangono impassibili di fronte ad una tavola di Alex Ross, per citarne uno?); ma quanti sono gli autori che riescono a far emergere la propria capacità narrativa, senza venire messi in secondo piano? Pochi direi, ma uno è di sicuro Alan Moore, che negli anni ha saputo offrire dei veri monumenti al fumetto, a volte però eccedendo e rischiando di demolire il suo stesso lavoro. Uno su tutti è il ciclo de La lega degli straordinari gentlemen.

Occorre fare subito una precisazione. Se volete conoscere questo comics, dimenticate che esista un film che ne porti la storia al cinema; per quanto si possa dire, la pellicola di Stephen Norrington, un fulgido esempio di cinecomic fallito in pieno, una vergognosa operazione che ha non solo ridicolizzato un fumetto, ma ne ha completamente dimenticato la natura. Considerate che La lega degli straordinari gentlemen è tutto fuorché un comics da portare al cinema. Moore nelle sue opere non fa solo intrattenimento, ma inserisce molto altro, dalla sua smisurata cultura alla critica sociale, un messaggio che forse si è visto maggiormente nel bel film tratto da V per Vendetta.

Ma andiamo con ordine, e cerchiamo di seguire la genesi di questo fumetto!

Per Moore uno dei requisti fondamentali è la piena libertà del proprio lavoro, quindi decide di affidarsi ad una casa editrice indipendente che non mette dei limiti al suo arcinoto estro; questo consente, nel 1999, di portare sugli scaffali il primo numero della Lega, con il marchio America’s Best Comics, una sussidiaria della Wildstorm. Siccome la vita sarebbe troppo facile, la Wildstorm viene assorbita nientemeno che dalla DC, con cui Moore non ha un rapporto felice; dopo una difficile convivenza, guastata dalla limitata libertà lasciata all’autore, La lega degli straordinari gentlemen migra sull’inglese Knockabout Comics, piccola casa editrice indipendente che non ha problemi nel lasciare massimo spazio d’azione a Moore.

Una simile vicissitudine è già di per sé un’avventura, ma quello che appassiona della Lega è l’idea che sta alla base. Immaginate una compagnia di personaggi che viene unita per affrontare pericoli a cui nessuno può far fronte, sulla falsa riga di Avengers e Justice League, con un sostanziale differenza: gli aderenti non sono eroi, ma figure costrette a prendere parte a questa squadra, spesso sotto ricatto (quindi già più vicino all’ideale della Suicide Squad).

La scelta del periodo storico non è casuale ma ben ragionato: l’epoca vittoriana, sul finire dell’800. In Inghilterra in quel periodo si sta assistendo all’esplosione dell’industria, il paese sta vivendo una rivoluzione non solo economica ma anche culturale, si manifestano i primi passi del movimento femminista. Moore decide di inserire in questo scenario non figure anonime ma personaggi già noti e caratteristici della letteratura del periodo: il capitano Nemo, il dottor Jekill, l’Uomo Invisibile , Allan Quatermain, ma soprattutto Mina Harker, la protagonista femminile del Dracula di Bram Stoker. Questi leggendari uomini vengono radunati dalla Harker per aiutare l’Inghilterra a sconfiggere un nemico misterioso, sotto la supervisione di Campion Bond, agente dei servizi segreti e nonno di un certo James.

Nel primo volume si scopre come l’eminenza grigia all’opera sia nientemeno che lo stesso capo dei servizi segreti britannici, M, che si rivela essere il Dottor Moriarty, la storica nemesi di Sherlock Holmes. Segue un secondo volume, in cui i nostri eroi affrontano nientemeno che i marziani, con la comparsata di John Carter, in una rivisitazione della Guerra dei Mondi di Wells, che verranno nuovamente sconfitti con un’arma batteriologica, creata nientemeno che dal dottor Moreau.  La serie in questi primi due volumi regge bene, nonostante il crescente numero di citazioni, rimandi e incastri orchestrato da Moore. L’idea di base è di sicuro affascinante, raccoglie il meglio della letteratura del periodo, andando a smitizzare gli stessi eroi, colpendo duro il lettore; tutti i personaggi hanno già vissuto le avventure che li hanno resi famosi, sono ora privi di una direzione, non hanno più nulla di eroico, spesso sono dei relitti umani (come Quatermain, oppiomane sconfitto), decisi a tagliare i ponti con la società (Nemo) oppure costretti a sfidare i rigidi dettami di una società che si crede evoluta ma nasconde ancora profonde arretratezze (non a caso, a capo del team viene messa una donna, Mina). Questi primi due capitoli della saga sono uno degli esempi dell’arte di Moore, sfaccettata, complessa, dinamica al punto di esser quasi anarchica, priva di un controllo che viene soppiantata da una verve creativa fin troppo sregolata; Moore con La lega degli straordinari gentlemen cerca di creare un nuovo universo, ma si fa prendere dall’estro creazionista, continua a inserire dettagli, riferimenti, senza però mantenere un minimo di ordine che consenta di seguire una logica.

lega degli uomini straordinari

Qui inizia il suo declino.

Se già il secondo volume lasciava intendere che l’autore fosse ormai privo del controllo della propria creazione, sono i volumi successivi a dare il senso di quanto si sia andati oltre. Con l’uscita del Black Dossier, si specula su come alla fine solo Mina e Allan siano ancora vivi, e cerchino di contrastare un regime totalitario che sembra materializzarsi nel 1948, un ironico ribaltamento del concetto alla base del 1984 di Orwell. Da questo punto, arriva un approccio deleterio, tutto diventa strumento nel ciclo, al punto di arrivare a inserire Rolling Stones, James Bond e decidere che il vero cattivo sia nientemeno che Harry Potter.  Insomma, il delirio di Moore diventa una giostra senza controllo, che per quanto interessante, limita la lettura ai più irriducibili fan di Moore o a chi si diletta nel cogliere citazioni e riferimenti anche ad altre opere. Il delitto di Moore in questo caso ha un nome: ingordigia. Il voler inserire tutto, legare e ampliare, forzare in certi casi, riesce a rovinare un qualcosa che avrebbe potuto essere un punto saldo dei comics; solo i primi due volumi sono veramente una lettura appassionante, anche se il secondo inizia a mostrare alcuni di quei difetti che vanno a rovinare la saga.

L’intento allegorico di Moore viene reso graficamente da Kevin O’Neill. Il tratto può non piacere, se paragonato ad altri disegnatori che hanno collaborato con l’autore inglese, ma inserito in un contesto rumoroso e poliedrico come quello della Lega, non stona più di tanto; lo scarso rispetto delle proporzioni, tavole sovraffollate e spesso con sfondi appena abbozzati diventano quasi parte integrante dello stile narrativo, lasciando che il lettore si concentri maggiormente sulla trama complessa. La colorazione di Benedict Dimagmaliw è un altro elemento abbastanza piatto, pur usando una palette di colori ampia non riesce a farli spiccare, non esalta nessuna scena.

lega degli uomini straordinari

Leggendo queste righe si può pensare che La lega degli straordinari gentlemen sia un’opera fallimentare, schiava della pretenziosità di Moore; in realtà, questa sua voglia di grandezza la rende una lettura interessante, almeno per i primi due volumi (consiglio l’edizione di Magic Press, in cui sono riportati anche gli extra tipici del lavoro di Moore), in cui si respira un misto della profonda conoscenza di Moore del periodo e della sua voglia di sfruttare ogni aspetto del suo operato per fare critica e satira. Certo, se paragonato a lavori come The killing joke o Watchmen siamo su un gradino nettamente inferiore, perché, a mio avviso, Moore da il meglio di sè quando opera su nuovi personaggi, ne decide tutto fin dalla nascita, mentre perde di lucidità nel doversi inserire all’interno di un contesto pre-esistente, cercando di adattarlo alla sua idea senza rispettarne i canoni originari.

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