A circa trent’anni dalla scomparsa del genio Jean-Michel Basquiat, considerato forse l’erede concettuale di Andy Warhol, la casa editrice Centauria ci propone un biopic di Paolo Parisi, che nel suo CV già vanta lavori simili su altre figure artistiche, come Holiday e Coltrane.
Parisi ci presenta la biografia dell’artista statunitense diviso in quattro capitoli, partendo dal 1981, nel periodo SAMO (Same Old Shit), in cui viene attribuito a Basquiat –ed Haring con lui, di aver reso i graffiti una forma d’arte, nascente da una costola della pittura, atta ad urlare in maniera più concisa il disagio di chi non ha voce.
Parisi gestisce tutta la storia come se fosse un documentario cinematografico, mettendo insieme documenti, polaroid, tutto accompagnato da un diario scritto dallo stesso Basquiat (falso purtroppo), accompagnato quindi dalle voci narranti delle persone-testimoni che vissero assieme a lui.
Ovviamente, tutto l’insieme sopra descritto è funzionale a mostrare la caratterizzazione del personaggio, ma la cosa che colpisce di più su questo lavoro, ed è una questione fattuale, è la combinazione tra i colori ed il tratto: sono privilegiati i colori primari, con tutte le sfumature, che attraverso un disegno essenziale, risultano di una potenza incredibile: si riesce a respirare l’atmosfera pop della corrente artistica del momento, riuscendo a sfruttare in maniera onesta l’atmosfera stessa di New York negli anni 80, con i neon, i cartelloni, le strade ed in negozi, mostrando, come già detto, non solo la vita di Basquiat, ma tutto un contorno, come se si guardasse un vecchio cine giornale.
La particolarità di questo volume è che Parisi non si limita ad una mera e “superficiale” biografia, ma con l’espediente narrativo delle testimonianze, riesce quasi a fare una critica (dire trattato è troppo) ben argomentata e gestita sul giovane artista che ha lasciato il nostro mondo in maniera prematura, ma lasciando un segno originale ed ancora contemporaneo.