Una radio sputa le parole metalliche di un giornalista distaccato, queste descrivono una città immersa nei rifiuti, in un disagio che non esita a comunicare il suo precoce stato di crescita. Nel frattempo, il tramonto penetra dalla finestra proiettandosi sul volto di Arthur Fleck. La striscia di luce, carica di pulviscolo, pone fin da subito lo spettatore di fronte a quello che sarà il Joker, ma che per ora è solo un uomo straziato. Si sforza di sorridere, Arthur, ficcando le dita ai lati della bocca, finendo col dar vita alla caricatura di un sorriso fantasmagorico sotto il suo trucco da clown. Eppure una lacrima scende dall’occhio sinistro addensandosi nel colore e tracciando un percorso blu su quella faccia pallida come la luna. E proprio in quel momento, che è la summa del primo minuto del film, mi rendo conto di una cosa. Lì, seduto sulla mia poltroncina, con la mente aperta e gli occhi spalancati, capisco che sarà l’orrore, e che la discesa in esso è appena iniziata.
Todd Phillips aveva un bel carico da sopportare sulle spalle. Molti di voi lo ricorderanno per film come la trilogia de Una Notte da Leoni, oppure per altre pellicole come Parto col folle e Starsky e Hutch. Sta di fatto che proprio dato il pregresso, non posso credere che il regista non abbia agito senza il peso della responsabilità. Perché è una responsabilità cercare di fare un buon film sul Joker dopo che tutto il mondo ti ha praticamente conosciuto come un regista che ama cimentarsi in film dal carattere non troppo impegnato e che fanno della risata facile uno stato imperante. A questo va anche aggiunto il fatto che comunque elaborare una pellicola sul Joker, che potesse rendere giustizia al personaggio e che, soprattutto, avesse un suo carattere personale e distintivo, un’identità insomma, non figurava come un’impresa di poco conto. Ebbene, Todd Phillips ci ha messo davvero poco a rassicurarmi, anzi, a rassicurarci tutti. Ma andiamo per gradi.
Il film si presenta nel primo atto e in parte del secondo come ben realizzati. L’itinerario narrativo è preciso, ben confezionato, e sebbene faccia dell’introspezione emotiva e psicologica di Arthur un punto cardine, non rinnego che si mostra come una prima metà di script piuttosto densa di eventi che forse tendono a oscurare ciò che c’è in profondità. Pertanto mi tolgo subito il sassolino dalla scarpa, dichiarando che forse questo è l’unico piccolissimo (ripeto piccolissimo) scoglio del film: una prima metà dove la scrittura pare un po’ troppo presente. La mole di eventi, il gomitolo di vicissitudini repentine che non danno quasi la minima tregua, stenta nel dar tempo allo spettatore di entrare in forte empatia col personaggio di Arthur, che comunque rimane ben presente dato che figura in quasi tutte le inquadrature del film. Si può dire che l’enorme carico di costruzione relegata a un climax che lo spettatore sente caricarsi in sottofondo, va a discapito di un’introspezione in crescita del protagonista che sembra passare leggermente in secondo piano rispetto a quanto si consuma nel progredire della storia. E questo demerito (seppur minimale) personalmente lo attribuisco non solo alla scrittura di Todd Phillips ma anche a quella del suo partner in crime, Scott Silver, sceneggiatore di film fortemente strutturati nella densità di eventi come 8 Mile o The Fighter. Ma non c’è da preoccuparsi: se nella prima metà il film è SOLO un buon film, nella seconda l’impennata verso le alte sfere avviene, rendendo questa pellicola un’esperienza indimenticabile. Una volta sviluppato a dovere ciò che precede il climax, quest’ultimo esplode, finendo col regalare finalmente la dignità, sia registica che scritturale, dovuta a un attore del calibro di Joaquin Phoeix e a un personaggio come quello del Joker. La sceneggiatura evolve, si schiude di fronte agli occhi dello spettatore, e l’evoluzione del personaggio (che ha raggiunto la saturazione ed è pronta a esplodere nel caos più totale), non manca assolutamente nel donare a chi guarda un’ora di totale ma terribilmente lucida follia. Fiamme, fuoco, violenza. Arthur Fleck rinasce e si riconosce nel Joker, che in questo film è il prodotto di una realtà urlante e schiacciata solo da se stessa. Tutto l’odio, la rabbia, il rancore, le insicurezze, la mancata fiducia nei confronti di qualsiasi cosa o individuo… tutto penetra e si coagula nel protagonista divenendo il riflesso di quello che gli uomini fanno agli uomini. Della rovina. Uno stato vivo e cocente come quello della follia si fa quindi personaggio, ed è palese come lo script sia totalmente cucito addosso alle capacità di Joaquin Phoenix, che con maestria ed eleganza elabora un’interpretazione magnifica.
Perfino la regia, da prima piuttosto statica, muta lentamente come lentamente tracolla la città e il personaggio di Arthur nel caos più avvolgente. Inoltre è impossibile non notare come in questo tracollo, la macchina da presa rimanga comunque al servizio dell’attore, e che in questo sia stato grande Todd Phillips. Grande nel riuscire a creare una vicinanza non asfissiante, in grado di concedere comunque il pieno controllo a Joaquin Phoenix. C’è una piena ammirazione nei movimenti che Arthur compie, talmente grande che porta addirittura la macchina da presa a perdersi il suo personaggio in inquadrature che non sono mai del tutto pulite o rigide, ma non è un male! Assolutamente no! Piuttosto concede allo spettatore quel senso di libertà bruciante che si fa strada nella mente del futuro Joker. Il distacco da una realtà prosaica, che Arthur rifiuta all’interno di movimenti di macchina che vitalizzano questo stesso rifiuto. Joaquin Phoenix poi, che con la sua immensa capacità rimane una delle icone più importanti del panorama attoriale odierno, si mostra ancora una volta al suo meglio, concedendo la visione di una prova recitativa che a distanza di anni continuerà a far parlar di sé. E’ infatti di non poco conto il lavoro che lo stesso attore ha fatto sul suo corpo, non soltanto per la questione dell’estremo dimagrimento raggiunto, ma anche sul modo che Joaquin Phoenix ha avuto nell’incarnare la figura stessa non del Joker, ma di un uomo che si appresta ad esserlo. Meraviglioso è anche il modo in cui il comparto audio accompagna l’involuzione caotica, che è anche il tema principale del film. Una colonna sonora a tratti straziante, si fa carico della discesa emotiva di Arthur, supportata infine da un montaggio sonoro che pare quasi rendere partecipe lo spettatore dello stridio di pensieri che il protagonista serba nella sua mente. Infine, ma non meno importante, il film riesce a fare due cose immense nella loro grandezza ed estrema difficoltà: accontentare tutti, dando ai fan un’ottima visione del Joker, e incastrandosi in quella tipologia di film che si estranea dal contesto di genere, divenendo una sorta di manifesto memorabile di denuncia sulla società, sulla violenza in cui è piombata e su quanto tutto questo possa comportare in un singolo individuo che potrebbe potenzialmente essere chiunque.