Chiamare intervista quanto fatto lunedì sera al cinema Adriano per l’anteprima di Nest: Rimani al sicuro, sarebbe riduttivo e distaccato. Nel debutto in una videointervista per NerdGate, siamo stati accolti da Mattia Temponi e Blu Yoshimi, che hanno permesso, attraverso la loro disponibilità, lo svolgersi di una piacevole chiacchierata che si è sviluppata attraverso curiosità che sono state pienamente soddisfatte. La location era l’ideale, una sala cinematografica per parlare con un regista e l’attrice protagonista del loro film, la cui recensione trovate sempre sul nostro sito e la versione video dell’intervista sul canale YouTube.
Perfetto, ci siamo: introduzione, i complimenti, una risata, la prima – e partiamo con la prima domanda…
Parola per parola
A: Cosa si sente a passare da un esordio come attrice protagonista in una commedia ad un horror-psicologico?
B: Mhmm… Niente (No, ovviamente scherzava e ha risposto). È una cosa che capisco e non capisco. La cosa bella del genere è che ha un linguaggio specifico e quindi ho sentito tanta libertà di giocare, seguendo anche le indicazioni di Mattia. La base della recitazione, infatti, è giocare, perché se credi al gioco il gioco diventa realtà. Come approccio di recitazione cambia lo stile ma per me il personaggio è vivo in entrambi i casi. Così come ho approcciato Cate, com’è stato per Sara cambia, ma rimane intimo alla stessa maniera. Intimità e verità, che cerco nell’altro, o in me, è sempre la stessa.
A: Ti ritroveremo in un horror?
B: Mi piacciono tanti film e tanti generi, mi piacerebbe fare un musical. C’è un film che ho fatto, la seconda opera di Carnesecchi, Resurgis, ma non ho una data di uscita. È un horror con il mostro e, purtroppo, in quel caso non sono il mostro purtroppo. (Spoiler: le è piaciuto fare il mostro)
A: Che poi mostro in questo caso è un po’ borderline…
M: Si, il film cerca di ribaltare il concetto scontato di mostro, per cui tutto, dal punto di vista del mostro, dovrebbe portarti a domandarti ‘si, lei è malata ma gli altri sono sani?’. Chi è tra i due il mostro?
B: Proprio questo mi è piaciuto, fin dalla lettura della sceneggiatura, che è molto importante in un film. Questa cosa era molto interessante perché spesso rendiamo le vittime, vittime e i carnefici, carnefici, lasciandole in quelle posizioni fisse, quando invece vedo molto i rapporti umani come qualcosa di più organico e fluido. Questo aspetto, che i Mattia hanno messo nel film di genere, dà la sensazione di una strana realtà molto vicina.
A: Da spettatore ho vissuto spesso il ribaltamento di prospettiva…
B: …Un bell’emblema di relazione tossica…
M: …Tutto nasce un po’ come una sfida. Con i due sceneggiatori ci siamo detti di scrivere un film con due personaggi ed un luogo. Tutti quei ruoli più definiti, che vengono visti solo come ingranaggi della trama. Invece, sei portato a cercare tutte le sfumature possibili se i due personaggi devono esserne dieci, 5 e 5. Quindi, questa cosa è nata da questa sfida, ma quando l’abbiamo avuta tra le mani l’idea di non distinguere il mondo tra sani ed infetti potrebbe essere una chiave di lettura interessante per un genere che ha già detto molto di sé.
A: È stato sorprendente, perché mi aspettavo di vedere qualche zombie ma a parte i primi 3 secondi sono spariti. Quindi, abbiamo, di fatto, un horror-thriller
M: Se ci pensi, è quello che accade a Sara quando lui le dice la bugia che regge il terzo atto. Lei non ha bisogno di prove. Noi, spettatori di zombie e horror, che sono nell’immaginario collettivo, a questo punto non abbiamo bisogno di avere spiegazioni. Mi basta dirti che fuori c’è l’apocalisse zombie per fartela immaginare. Però, questo rappresenta il meccanismo di manipolazione – alla base del film – in un mondo abituato alla malattia e non c’è bisogno di descriverla.
A: Una cosa che mi ha colpito ed infastidito, per senso di claustrofobia, è l’onnipresenza della stessa stanza, in contrapposizione al main stream degli zombie. Mi ha colpito ed ero curioso di sapere il perché di questa scelta e dell’onnipresente figura geometrica esagonale. E poi, se a te, Blu, questa scelta ha dato un senso di claustrofobia e di chiuso che lo spettatore, in questo caso me, ha vissuto.
M: La scelta fa parte della sfida narrativa di prendere un genere con cliché conosciuti e precisi, e ribaltarli in toto. Prendere l’eroe e aguzzino e il mostro e l’eroina. Un’altra delle cose tipiche dei film statunitensi è quello di tornare al vecchio West, terre desolate cappelli da cowboy, quando invece l’horror statunitense è nato in spazi chiusi. Con ‘La notte dei morti viventi’ Romero ha creato un ambiente chiuso e pochi spazi, mettendo dentro un microcosmo della società americana. Fatto perso nel cinema statunitense per le lande desolate e per il Far West. Seduti, ci siamo chiesti: ‘E se in Europa succedesse ciò torneremmo al vecchio west?’. Probabilmente no, le nostre istituzioni diventerebbero più dure e rigide, cosa che in parte è successa, e ci siamo immaginati se il tutto si sviluppasse in un luogo estremamente protocollare, attrezzato, ossessivo e geometrico. Quindi, nasce l’idea del nido ad alveare che non ti lascia mai uscire da questo schema e protocollo, ergo dà quel senso di nausea tanto da dire: ‘voglio uscire’, tentando di far capire il desiderio di uscire ma anche il sacrificio che vive il personaggio per non farlo e poi finalmente poterlo fare.
B: Praticamente hanno fatto il prognostico del futuro italiano, giochiamo col destino si son detti. Per me non è stato claustrofobico, perché è stato un film in cui Sara ha agito marcatamente su di me, in cui io mi sono lasciata andare in lei perché mi sono divertita a fare la stronza. Penso sia un personaggio che ha agito molto su di me. Come attrice, avere un posto del genere, vestire sempre con gli stessi costumi, tornare sempre allo stesso luogo è una cosa di grandissimo aiuto e non claustrofobica. Questo è un grandissimo film per tutte quelle persone che ci hanno lavorato, Si, è stato un film difficile a maggior ragione l’interpretazione. A maggior ragione lavorare così è più bello, avere una squadra del genere è stato incredibile. La scenografia è stata impressionante grazie a Giada Calabria. Una volta entrata nel nido avevo il mio comodino, quando loro giravano nell’altra sala io dormivo nel mio letto, dormicchiavo sul set (anche se poco)
M: Fatica, fatica ma eri molto sdraiata. Mi ero dimenticato quante volte eri stesa. Luciano dall’altra parte e prendeva pugni.
B: Anche io, con le convulsioni sul letto e con gli svenimenti. No, veramente, Il Nido me lo sono goduto veramente e, come attrice, è stato di aiuto. La tua interpretazione è stare sempre nello stesso luogo, vivere sempre le stesse cose; quindi, potersi vivere così il luogo è una grande fortuna ed è un aiuto perché ti lascia addosso delle sensazioni.
A: Vi posso fare un’ultima domanda e poi vi lascio andare o a cena o a dormire: Ho notato un’esplicita critica sociale (omofobia, xenofobia) e al tempo stesso il messaggio più esplicito e costante, il messaggio di violenza psicologica e fisica sulle donne. Vorrei chiedere: com’è portarlo sul set e com’è viverlo sul set.
M: Portarlo sul set richiede una costante riflessione di quello che si sta dicendo. Da uomo, devo dire questa cosa. C’è sempre il rischio, in qualche, maniera di indulgere sugli aspetti più superficiali del problema. Fortunatamente il messaggio è stato molto chiaro a tutte le persone sul set; quindi, tutti si sono fatti portatori. Su Blu c’è stata una dichiarazione esplicita, ma mi piacerebbe ricordare quando io e Luciano abbiamo discusso di questa cosa. Mi ha detto ‘Io l’ho letto ma secondo me questa è una violenza domestica’. Si, proprio così questa è una violenza domestica, non fisica ma più profonda e manipolatoria, dove l’aguzzino diventa necessario alla vittima, ed è ancora peggiore. Il fatto di avere un uomo con cui parlare della mascolinità tossica, del pretendente principe azzurro. Questo ha fatto sì che io mantenessi la barra dritta: io e Luciano ci siamo molto spalleggiati su questa cosa.
B: A Mattia andrebbe fatto un applauso. Oltre ad averlo scritto, si è fatto sostenere dalla Casa delle donne a Torino e si è fatto sostenere soprattutto sulla scrittura, dove le parole sono fondamentali per descrivere tale contesto. Questo è preziosissimo mantenendo un ascolto aperto, perché essendo uomo hai un’altra storia. Penso ci sia qualcosa di universale: la violenza psicologica è qualcosa di pesantissimo che tutti viviamo e agiamo; siamo tutti vittime e carnefici. Molto tosto da dire quando si parla di violenza di genere, in qualche modo le dinamiche sono molto fluide e quindi, anche noi donne, dobbiamo capire, renderci attive e non essere passive. Continuare ad essere vittime non ci permette di agire diversamente ed è un lavoro super profondo che tutti dovremmo fare. L’ascolto, in questa lotta contro la violenza, uno dell’altro è fondamentale e non scontato.
Un ringraziamento speciale va a Mattia e Blu, che sono stati davvero molto disponibili, oltre che ad Ornato Comunicazione.