Negli scorsi giorni ho avuto modo di affrontare in diverse pagine di Facebook, che fossero gruppi su fumetti o bacheche personali di autori, una discussione piuttosto interessante, e che in un certo senso riguarda da vicino anche noi che che su questo sito facciamo recensioni. Al centro della discussione c’è il modo in cui viene trattata la recensione, che spesso si tramuta in una sorta di attacco personale a questo o quell’autore. Girovagando come appassionato per le pagine e i siti a tema, in certe occasioni mi sono ritrovato anche io a percepire questa sensazione, e inevitabilmente mi sono chiesto quanto ciò che scriviamo influenza altri appassionati. Chiariamoci, personalmente non mi sento un critico infallibile, ma mi piace considerarmi un semplice appassionato che vuole condividere con altri il proprio gusto e la propria passione, cercando di usare un parametro essenziale nello scrivere i propri pezzi: il rispetto.
A volte noi riusciamo a divorarci un albo di 96 pagine in dieci, quindici minuti, sentendoci subito in grado di poterlo giudicare. Prima di farlo dovremmo tenere conto che in quei quindici minuti sono racchiusi giorni e mesi interi di lavoro per sceneggiatori e disegnatori, curatori di testata e addetti al lettering, gente che ha in mente un obiettivo: raccontare una storia. Prima di poter giudicare il loro operato, dovremmo esser sicuri di riuscire a leggere ciò che abbiamo tra le mani in modo da intendere anche quale fosse l’intento di chi ha realizzato il lavoro (perché quel fumetto è un lavoro, mettiamocelo in testa). Spesso lasciamo che nostre idee o modi di vedere le cose ci condizionino nel dare una valutazione, lasciando che il nostro personale diventi il metro di giudizio, dimenticandoci che spesso un fumetto vuole solo esser una storia che l’autore voleva raccontare; questo non significa che non si debba avere il coraggio, o meglio, l’onestà di segnalare le anomalie o ciò che non convince in un albo, ma lo si dovrebbe fare con il tatto di chi rispetta anzitutto il lavoro occorso. Purtroppo l’avvento del mondo social (Facebook in primis) ha trasformato la libertà di opinione in liberà di insulto, visto che un polemica sterile e con toni forti (l’arcinoto flame) attira più che un pacato scambio di vedute tra autore, recensore e lettore.
Faccio un esempio pratico. L’altro ieri stavo conversando con Andrea Artusi ed alcuni lettori del nuovo Martin Mystere, quando all’improvviso vedo un post in cui si accusano le Nuove Avventure a Colori di volere essere un manifesto politico, solo perché è il commentatore ha voluto ridurre il fumetto ad una dimensione socio-politica che è totalmente avulsa all’origine della storia. Si può criticare la scelta stilistica della realizzazione, il colore (come pacatamente hanno fatto alcuni) ed approfittare della disponibilità dei Mysteriani nel dialogare con i lettori, peccato che alcuni preferiscano gettare accuse, magari dietro uno pseudonimo, e poi sparire, tronfi di una vittoria morale inesistente. Sono atteggiamenti che mi lasciano amareggiato, lo confesso. Un appassionato di fumetto di anche solo 20 anni fa (tecnologicamente, il Medio Evo!) avrebbe gioito come un pazzo nel potersi confrontare con un designatore o uno sceneggiatore, oggi invece pare che per alcuni questo mezzo che è Facebook sia diventato una gogna digitale in cui voler criticare senza diritto di replica.La realtà è che noi lettori in certi momenti siamo incontentabili, e nel gruppo mi ci inserisco anche io! Un anno fa ero preoccupato perché grazie alla mia (incauta) fiducia in alcuni pseudo-siti avevo ventilato un triste futuro per la Bonelli; dopo un anno mi sono dovuto ricredere, e non sono mai stato così felice di essermi sbagliato. Perché in molti non sono mai contenti, se non c’è rinnovamento ci si lamenta del piattume, se si innova si grida allo scandalo per la violazione dei dogmi; spesso a fare la voce grossa sono personaggi eccentrici che con millantate competenze e frustrazioni da fallimenti passati si ergono a maestri, che su social e canali come YouTube si lanciano in accuse che spesso sfociano nel comico, ovviamente involontario.
Eppure proprio Facebook sta mostrando che un sano rapporto tra artisti e lettori può portare a ottimi risultati. Penso alla striscia quotidiana di Drizzit di Bigio, autore che investe del tempo nel dialogare con i propri lettori, oppure a quel cantiere collettivo che è Hangar 66, un progetto ambizioso e che sta avendo un’eco mostruosa, nato dall’idea di Max Bertolini e di cui abbiamo parlato spesso. Sono solo due esempi di come una corretta fruizione di Facebook per la nostra passione dei fumetti possa colmare quello che, secondo me, è uno dei motivi di tanta difficoltà nel dialogo: la cultura del fumetto. Sento spesso citare nomi altisonanti, grandi maestri internazionali, ma all’atto pratico si vede poi una pochezza delle basi che spesso, quando segnalata, viene colta come un’offesa che non un consiglio a recuperare alcune perle; come si può giudicare un fumetto che fa critica sociale o parlare di graphic novel senza conoscere Will Eisner, o ricordare come il primo comics della storia, Yellow Kid, avesse una forte componente sociale?
Ma quindi, per giudicare un fumetto cosa si dovrebbe fare? A mio avviso essere anzitutto a conoscenza di cosa gli autori vogliono raccontare, se la loro trama avrà un dichiarato elemento di critica sociale allora il giudizio dovrà tenere conto anche di questo aspetto. Dal tipo di narrazione deriva il tipo di critica, che deve essere plasmata anche in base alla storia dell’autore, al suo modo di raccontare e i criteri che lo hanno reso noto; il rispetto non si deve solo al team creativo, ma anche a chi legge, per esser onesti dobbiamo presentare un resoconto che, per quanto personale, sappia argomentare in modo corretto e veritiero quello che abbiamo letto.