Wolf Man – La recensione

Wolf Man, il nuovo film del regista di The Invisible Man, arriva al cinema il 16 gennaio!

Correva l’anno 1941 quando in America usciva The Wolf Man, in italiano L’uomo Lupo, film horror della Universal Studios che, pur non essendo il primo a presentare la figura del lupo mannaro antropomorfo, è stato quello che ha sicuramente il merito di aver portato questa figura alla popolarità. Dal 1941 ad oggi abbiamo assistito ad un’infinità di rappresentazioni del lupo mannaro nei media (cinema, serie tv, libri), e, anche se il primo remake di The Wolf Man (dell’anno 2010) non è stato un grande successo, nè di critica, nè di box office, l’anno 2025 per il cinema horror si apre con Wolf Man, una re-immaginazione in chiave moderna del film del ’41, prodotto dalla Blumhouse e distribuito dalla Universal Studios.

Blake è un bambino che vive con suo padre in una casa isolata nelle montagne dell’Oregon. L’uomo, un veterano, è molto severo e cresce suo figlio in una casa piena di regole, sostituendo la sua infanzia con un addestramento militare. Trent’anni dopo Blake (Christopher Abbott) vive in città con la moglie Charlotte (Julia Garner) e la figlia (Matilda Firth), e la sua vita non potrebbe essere più diversa da quella che è stata la sua infanzia. Dopo aver ereditato la casa del padre, Blake propone di raggiungere l’Oregon per passare una vacanza in famiglia. Anche se con qualche riserva, la moglie accetta e i tre si mettono in viaggio. Poco prima del loro arrivo vengono attaccati da uno strano animale che prima li manda fuori strada e poi li segue, aspettando fuori dalla casa per attaccarli. Dopo aver diretto nel 2020 il remake in chiave moderna del classico Universal The Invisible Man, con Elisabeth Moss, Leigh Whannell si è dedicato al progetto di portare un altro mostro classico nell’era moderna. Per trasportare una storia così classica e famosa nel ventunesimo secolo non basta però cambiare l’ambientazione (dall’Europa agli Stati Uniti) e svolgerla ai giorni nostri: per una rilettura in chiave moderna è importante aggiungere degli elementi nuovi che possano anche aiutare nell’immedesimazione.

E questo sembra essere il punto forte di Leigh Whannell. Esattamente come aveva fatto in The Invisible Man, in cui era stata data molta rilevanza alla violenza domestica subita dalla protagonista, anche con Wolf Man vengono inseriti “ingredienti moderni” che permettono di empatizzare fin da subito con i personaggi. L’elemento che notiamo subito è la figura paterna rappresentata dal protagonista: Blake è cresciuto in un ambiente tutt’altro che sereno, con un padre severo che lo terrorizzava, e ha deciso di imparare dagli errori commessi dall’uomo per diventare il papà migliore per sua figlia, assicurandole quello che lui non ha avuto: un’infanzia felice e piena d’amore. Blake è anche un bravo marito che cerca di migliorare il suo matrimonio e al tempo stesso di aiutare sua moglie, che è fuori per lavoro per tutto il giorno, a costruire un rapporto più stretto con la figlia. Questo padre del ventunesimo secolo e questa famiglia moderna non sono gli unici elementi presentati nel film, perché nella seconda parte viene usata la licantropia come metafora di una malattia che arriva all’improvviso ma che cresce in maniera lenta e costante, e che finisce inevitabilmente per distruggere non solo chi ne è affetto, ma anche chi sta intorno.

In questo Whannell è stato davvero brillante, perché evidenziando questo aspetto psicologico della storia è in grado di elevarne anche gli elementi horror. Un altro aspetto vincente del film è tutta la parte del body horror che gira intorno alla mutazione in lupo mannaro. Inizialmente è una trasformazione lenta e graduale, che causa dolore e sofferenza in tutte le persone coinvolte (direttamente e indirettamente) e fa sicuramente pensare a La Mosca di David Cronenberg. Il culmine di questa trasformazione è una scena che strizza l’occhio al film del 1981 “Un lupo mannaro americano a Londra”. Legato a questa aspetto della trasformazione c’è anche quello che, insieme alla fantastica interpretazione da parte di tutti gli attori protagonisti (Christopher Abbott, Julia Garner ma anche la piccola Matilda Firth), potrebbe essere il vero punto forte del film: il punto di vista del lupo mannaro nella fase della trasformazione, che ci aiuta a comprendere appieno il suo isolamento. E se, almeno su carta, tutto questo sembra funzionare perfettamente, purtroppo c’è comunque qualcosa che stona nel film e che probabilmente non gli permetterà di replicare il successo di pubblico del suo predecessore The Invisible Man. Il ritmo del film ha qualcosa di discordante, perché riesce ad essere lento e molto frettoloso contemporaneamente, soprattutto nella parte finale, in cui si ha quasi l’impressione che dovessero sbrigarsi a portare a termine la storia. Wolf Man inoltre lascerà i fan dei lupi mannari tradizionali e di questo tipo di storia un po’ insoddisfatti: il design del licantropo potrebbe piacere a chi sperava in qualcosa di più innovativo e antropomorfo, ma farà probabilmente storcere il naso a chi è affezionato all’immagine classica del lupo mannaro. E dimenticate anche tutte quelle caratteristiche classiche del folklore legato ai licantropi (proiettili d’argento, luna piena, erba luparia), perché in questo remake non sono presenti.

CONCLUSIONI: Gli aspetti positivi di Wolf Man ci sono e se li mettiamo nero su bianco sono probabilmente superiori a quelli negativi, eppure a conti fatti c'è qualcosa che stona e che lascia con un senso di insoddisfazione e di "fame" nello spettatore.

VOTO FINALE: 6.5

SCHEDA FILM

  • USCITA: 16/01/2025
  • GENERE: Horror
  • REGIA: Leigh Whannell
  • DURATA: 103 min.
  • SCENEGGIATURA: Leigh Whannell, Corbett Tuck
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