Ogni volta che una notizia di cronaca vede dei giovani, o giovanissimi, compiere atti efferati, quella povera donna di mia moglie, all’inizio del tg, inizia a guardarmi con un misto di pietà e di rassegnazione, pronta a sopportare la mia faccia sdegnata e un pò tanto incazzata di fine servizio dello pseudo-giornalista di turno. E lo dico con affetto, caro pseudo-giornalista, perché ormai è una tradizione vedere giornalisti prendere la propria professionalità, buttarla nel cesso e tirare lo sciacquone, più volte che metti ne rimanga traccia e venissero ospiti, sai che figuraccia ? Perché se un giovane ammazza i genitori c’è un solo, innegabile colpevole: i maledetti videogiochi, l’incarnazione digitale di Satana!
ESISTE DAVVERO UNA CONNESSIONE TRA VIOLENZA E VIDEOGIOCHI, O CI SONO ALTRI FATTORI?
Articolo di oggi su Il corriere.it di Giusi Fasano, che vi invito a leggere, e farvi una vostra opinione, mentre ore vi scrivo la mia.
Definire superficiale e raffazzonato questo articolo è fargli un complimento. Nel ritratto di questi due malati, il tutto viene ricondotto al semplice: era ovvio, giocavano solo ai videogiochi. Mi verrebbe da chiedere come potessero passare la giornata intera sui videogiochi, visto che quando ero ragazzo io se solo sgarravo mi arrivavano di quelle punizioni che me le ricordo ancora. Ricordo che in terza superiore calai di poco il rendimento, e già all’epoca ero un appassionato di videogiochi; reduce da un colloquio con dei professori, mia madre sequestrò i cavi del pc, in una fredda giornata di gennaio. Tornarono al primo sole di maggio, gli adorati cavetti, casualmente con l’aumento del rendimento scolastico. Se vogliamo dare la colpa ai videogiochi, diamola pure, perché è sicuramente più facile accusare loro che non il fallimento di un sistema educativo, che manca di presenza negli anni formativi di una persona. Sicuramente è colpa di GTA e COD, mente programmi educativi come Dexter, CSI e compagnia cantante non hanno nessuna responsabilità, perché la sola violenza in pixel ha un impatto diretto sulla psiche umana, giusto?
Sarei felice una volta tanto di leggere un articolo che alla frase “passavano tutto il tempo sui videogiochi” fa seguire “dov’erano i genitori? Perché non son intervenuti prima?“. LA verità è che quando si toccano certi argomenti, chi dovrebbe essere obiettivo e offrire un resoconto esaustivo dell’evento, rimane schiavo di preconcetti vecchi e stereotipati, con il videogioco che ora prende il posto di vecchi nemici ormai sfiancati, come fumetti o “certa musica satanica”. Ovvio, perché fare una critica costruttiva alla propria vita, ammettere che forse ci sono allontanamenti in seno alle famiglie, in un’era in cui i rapporti son più virtuali che reali, in cui un whatsapp diventa una manifestazione di interesse al pari del prendersi un caffè e parlare dal vivo (ma che, si usa ancora?).
Ormai è inutile, è una battaglia persa. Oggi il videogioco è il primo responsabile della violenza, ma non solo, anche di certi uomini che non crescono. L’altro giorno in un suo articolo Andrea Scanzi ha postulato che la sindrome dei quarant’enni di oggi passa anche dall’abuso dei videogiochi; certo, se non avesse citato per tutto l’articolo solo FIFA avrei anche potuto prenderlo seriamente, ma fare un pezzo con una simile veemenza e limitarsi a paragonare il 40enne Peter Pan a drogato di FIFA insinua il dubbio che forse si generalizzi. Mi sembra assurdo che non si possa accettare il videogioco come una passione, un hobby, al pari di seguire un serial o del gusto della lettura; ovviamente l’abuso è da valutare, ma è così diverso da chi passa ore intere attaccato a Netflix a guardare telefilm? Perché allora potremmo postulare che gli spacciatori esistono per colpa di The Breaking Bad! Articoli come quelli di Giusi Fasano o di Rosalba Emilozzi per Il Mattino di ieri sono un insulto agli appassionati, a chi per lavora crea videogiochi, ma soprattutto a chi legge gli articoli, perché sono un’accozzaglia di idee generaliste messe insieme per creare una colonna solo per riempire una pagina di giornale.
Giusto per gradire, facciamo due citazioni.
La ricerca ‘Violent video games and real-world violence: rhetoric versus data‘ della Villanova University e Rutgers University (USA) ha mostrato come esista una correlazione INVERSA tra pubblicazione di videogiochi violenti e numero di crimini usando dei precisi parametri di ricerca. Secondo questo studio, i videogiochi hanno anzi un valore catartico, fungendo da valvola di sfogo per l’aggressività repressa. Secondo Thalita Malagò , esperta dell’AESVI, è addirittua infondato il legame tra videogiochi violenti e la tendenza all’aggressività; secondo questo studio la scelta di un videogioco violento nasce anzi in persone che hanno una predisposizione alla violenza. Non va dimenticato, per obiettività, che esistono teorie ancora non compravate che in vece associano videogiochi violenti e atti di violenza. Interessante, in tal senso, la lettura di questo articolo di State of mind .
Siamo onesti, ad oggi questo annoso dibattito non ha ancora avuto una risposta, visto i vari fattori in gioco in una situazione del genere. Può influire? Forse. È l’unica causa? No. Per mio modo di pensare, tutto può essere pericoloso se non viene preso con le giuste precauzioni, soprattutto quando all’interno di una società iperstimolata e incredibilmente dinamica come la nostra vengono a mancare i punti saldi come un rapporto più umano, spesso anche all’interno delle stesse famiglie. Finché l’unica accusa viene mossa ad un videogioco, non verremo mai a capo del problema. Al massimo potremo scriverci degli articoli, da leggere anche loro per gioco.