Liberamente tratto dalle appendici de Il Signore degli Anelli del compianto J.R.R. Tolkien, La Guerra dei Rohirrim si appresta a sbarcare nelle sale italiane a capodanno 2025.
La pellicola, fantasy in stile anime, la prima del suo genere per l’universo multimediale di LOTR, vede alla regia Kenji Kamiyama. Il cineasta giapponese, già noto per i suoi lavori su serializzazioni del brand Ghost in the Shell e il lungometraggio 009 Re:Cyborg, supervisiona quindi disegno, animazione e montaggio direttamente dal Sol Levante.
Alla produzione troviamo ovviamente New Line Cinema, oggi sussidiaria della Warner, che produsse l’immortale trilogia cinematografica di Peter Jackson, e attuale detentrice dei diritti cinematografici esclusivamente per Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli.
L’arco narrativo mostrato a schermo si posiziona secoli prima delle vicende che vedranno protagonista prima Bilbo e poi, suo malgrado, Frodo.
Corre l’anno 2754 della Terza Era.
L’unico anello è da tempo nelle mani di Sméagol, nascosto nelle profondità delle Montagne Nebbiose.
Lo possiede da quasi tre secoli e gli verrà sottratto da un hobbit durante il suo viaggio inaspettato solo nel 2941 T.E., mentre Sauron trama tra le ombre di Bosco Atro.
Siamo a Rohan, sotto il regno di Helm Mandimartello, nono Re del Riddermark, amato e rispettato da tutti i discendenti di Eorl, in un periodo di relativa quiete.
Edoras, la capitale, è una città prospera e qui, una notte, il nobile Freca chiede al Sovrano in sposa per suo figlio, Hèra, unica discendente donna del Signore dei Rohirrim.
Dal rifiuto di Helm nasce un diverbio che si fa scontro: il nobile resta ucciso per mano dello stesso Re.
Wulf, figlio di Freca, viene esiliato assieme alla sua scorta e trova rifugio nel Dunland.
Passano quattro anni e il giovane, ardente di desiderio di vendetta, raccoglie un esercito di dunlandiani ed esterlings pronto a fare marcia su Edoras.
Quella raccontata è la storia di uno dei momenti più bui per Rohan, messa in ginocchio dalla guerra e dal Lungo Inverno. Un conflitto che mieterà numerose vittime e relegherà definitivamente alla leggenda la figura di Helm, da cui il nome dell’omonimo Fosso, roccaforte a ridosso della catena degli Ered Nimrais e noto, fino ad allora, come Trombatorrione, o Borgocorno, nella nuova traduzione.
Voce narrante dell’epilogo e del prologo è quella di Miranda Otto, almeno in lingua originale. La Eowyn della trilogia, che come Hèra, protagonista della vicenda, è figlia di Re, e come la stessa possiede un carattere nobile, battagliero, e prima ancora gran cuore.
La scelta è deliberatamente studiata e volta a creare, oltre al pathos, una continuità narrativa con l’opera di Jackson.
Stesse logiche dietro ad altri elementi: dalla riproposizione delle musiche di Howard Shore, ampliate e riprese con nuove colonne sonore da Stephen Gallagher, alla presenza delle Aquile, solenni e salvifiche, ancora una volta Deus Ex Machina nell’economia della trama. E poi, proseguendo, la presenza di orchi che razziano cadaveri alla ricerca di anelli. O l’avvento di Saruman il Bianco alla reggenza di Orthanc, rappresentato nella figura di Christopher Lee anche in questa versione animata, e un riferimento abbastanza maldestro a Gandalf, di cui però ci viene mostrato solo il sigillo su una pergamena.
Sembra, insomma, che alla Warner si sia pensato veramente a tutto pur di tenere vivo l’interesse per il mondo di LOTR, sempre più vero e proprio brand commerciale.
Complimenti quindi dall’aver desistito dal piazzare un membro a caso della Compagnia direttamente nella storia, come tristemente avvenuto con Legolas ne lo Hobbit.
Tutti questi sforzi vengono, però, rapidamente vanificati dal fattore estetico, e neppure una buona trama, forte di una struttura classica di antefatto, crisi, scontro e risoluzione, anche per mezzo di intervento di alleati inattesi, può riuscire ad ingannare l’occhio.
Inutile girarci intorno: l’animazione non risulta entusiasmante, ma addirittura posticcia in alcune sequenze.
La magia dei primi minuti, in cui durante il prologo lo spettatore si ritrova a volare con le suddette maestose aquile, si spegne rapidamente.
Alla prima scena in cui si vede una cavalcatura tutto è già finito: il movimento non è fluido, il contatto col terreno poco credibile, così come in generale il rig di molti personaggi.
Complici forse i fondali digitali che, ad eccezione del prologo, sono poco realistici, privi di carattere. Fondali digitali in cui più difficilmente si riescono a collocare elementi animati in maniera convincente. Carenti nei dettagli e più vicini stilisticamente ad AoT, che alle meraviglie prodotte dallo Studio Ghibli, per rendere l’idea. Se da un lato si opta per una soluzione funzionale alla rappresentazione, dall’altro si cerca una qualità tale da rendere opera d’arte il fondale stesso, capace di parlare e comunicare con l’osservatore, come si trattasse di un vero quadro. Ecco: in questo caso si è optato per l’economia.
Sempre all’economia si è pensato nella colorazione, in cui tutto sembra piuttosto piatto, con ombre solo accennate o del tutto assenti. Parlando di colore impossibile non notare come il sangue, quando raramente mostrato, sia per lo più una chiazza informe scura che tinge i vestiti, e mai uno schizzo rosso vivido. Scelta, questa, forse più legata a motivi di possibile censura nei Paesi cui il lungometraggio è destinato.
E per concludere, nemmeno i volti riescono a regalare grandi emozioni: tendenzialmente inespressivi per i soggetti in primo piano, delle volte quasi abbozzati nelle scene con molti personaggi a schermo, come durante gli scontri.
Un primo anime, questo tratto dagli scritti di Tolkien, funzionante in tutto, fuorché l’animazione.
La Guerra dei Rohirrim rappresenta quasi una involuzione stilistica rispetto al cult in tecnica mista e rotoscopio di Bakshi del ’78, in cui per la prima volta in maniera seria si tentò un adattamento animato degli scritti dell’autore, se si tralascia il film cartone per tv de Lo Hobbit, risalente all’anno precedente e destinato a un pubblico infantile.
Peccato.