INTERVISTA DOPPIA AGLI AUTORI DI NATHAN NEVER: LA LUNGA MARCIA – Intervista

25 Mar 2016

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INTERVISTA DOPPIA AGLI AUTORI DI NATHAN NEVER LA LUNGA MARCIA: EMANUELE BOCCANFUSO E THOMAS PISTOIA

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Una delle storie che più ci ha colpito negli ultimi mesi è stata La lunga marcia, l’albo numero 297 di Nathan Never; non staremo qui a ripetere le tante motivazioni che ci hanno portato ad amare questa storia estremamente attuale e coinvolgente, per parlare di questa avventura di Nathan abbiamo interpellato direttamente i due creatori, Thomas Pistoia (sceneggiatura) e Emanuele Boccanfuso (disegni).

Quindi non vi trattengo ulteriormente, e vi lascio alle loro parole

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LA LUNGA MARCIA, il vostro albo, trae origine dalla storia italiana, particolarmente da quella stagione di bombe e delitti in cui lo Stato è parso soccombere alla pressione della mafia. Voi che ricordo avete di quel periodo?

E.B.: Avevo 11 anni nel 1992, quindi se dovessi dare una risposta articolata sarei un bugiardo. Ero piccolo e quindi l’impressione era semplicemente di gente buona fatta fuori da gente cattiva. Negli anni successivi ho potuto realizzare meglio la grandezza di personaggi come Falcone e Borsellino e la dedizione e il coraggio dei loro cari e delle loro scorte. Oltre all’impegno delle persone che hanno deciso di dire “basta”. Un ruolo importante per la mia comprensione lo hanno avuto opere di intrattenimento come film, fiction, libri e fumetti. Ci credo molto nell’intrattenimento come veicolo per questo tipo di messaggi.

T.P.: Ricordo distintamente come venni a sapere dell’attentato a Borsellino. Avevo poco meno di vent’anni, era una giornata caldissima. Ero in auto, mi avevano dato un passaggio e tornavo dal mare. Il giornale radio interruppe le trasmissioni per un’edizione straordinaria… Alla speranza e all’entusiasmo che Falcone e Borsellino avevano generato con la loro opera di repressione del fenomeno mafioso, seguirono lo sconforto e l’indignazione dell’Italia sana. La reazione delle istituzioni fu però, negli anni, discontinua e insufficiente.

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Nella storia di Nathan il giudice Matthew ha una caratura morale e una tenacia che sembrano quasi appartenere ad una figura immaginaria, un eroe solitario che pare non esistere più. Eppure ci sono ancora giudici in Italia che si possono riconoscere in questo personaggio; volete dirci qualcosa riguardo al magistrato reale a cui si ispira il vostro Matthew?

E.B.: Beh, che il personaggio sia un omaggio ai magistrati Paolo Borsellino e Nino Di Matteo è esplicito. Per quanto riguarda Borsellino nella storia cerchiamo di riproporre la tenaglia che si stringeva attorno a lui nelle settimane successive alla morte di Falcone (che purtroppo sappiamo come è andata a finire). Di Matteo è colui che ha preso l’eredità di questi due grandi uomini e cerca di fare luce tra una serie di ostacoli “di stato”(scritto minuscolo di proposito).

T.P.: Il cognome “Matthew” è un omaggio al giudice Nino Di Matteo. In parte il personaggio vive anche alcune situazioni che sono state di Paolo Borsellino. Il paradosso che investe uomini come Di Matteo è che diventano eroi nel momento in cui svolgono le mansioni più normali e scontate del proprio lavoro; lo stesso accadeva a Falcone e a Borsellino. Il primo, in una nota intervista, alla domanda “chi glielo fa fare?”, rispondeva “lo spirito di servizio”. Credo che per Di Matteo sia la stessa cosa ed è questo il carattere che ho cercato di dare al giudice Matthew. Non tanto il coraggio (che certo non manca né a lui, né a chi fa il suo stesso lavoro nella realtà), quanto la serenità che deriva dalla certezza assoluta di fare semplicemente il proprio dovere.

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L’indagine di Nathan sembra passare in secondo piano, lasciando spazio alle figure del giudice Matthew e della sua scorta. Sia nella narrazione di Thomas che nelle tavole di Emanuele (come a pagina 69, quando Nathan e la scorta lasciano Tersicore), anche quando è Nathan a parlare o viene posto in primo piano, l’occhio e la mente del lettore sono portati a concentrarsi sugli altri personaggi. È stato difficile creare dei personaggi dalla personalità così intensa?

E.B.: A questa domanda credo debba rispondere Thomas. Io ho seguito la sua sceneggiatura, al massimo cambiando qualcosa (in accordo con lui) per aiutare ulteriormente la narrazione.

T.P.: Dal punto di vista della scrittura Matthew, Rossi, Bold e Davis, si sono conquistati da soli, crescendo insieme alla storia, il loro ruolo fondamentale e prezioso. Rappresentano persone vere che nella realtà rischiano la vita ogni giorno per proteggere noi e le istituzioni, quindi è stato piuttosto naturale che le loro personalità acquistassero via via più forza durante la narrazione. Credo abbiano ampiamente meritato l’affetto che i lettori hanno loro dimostrato, ma non sono sicuro che tale affetto derivi da come li ho scritti io. E’ quello che rappresentano che li fa più grandi.

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I dialoghi e i pensieri dai protagonisti di LA LUNGA MARCIA sono forti e colpiscono duramente il lettore. Allo stesso livello sono i disegni, che sembrano ritrarre in pieno i tormenti e le paure degli uomini e delle donne coinvolti in questo albo. Due scene in particolare ci hanno colpito: lo “sfogo” di Anna Rossi durante l’appostamento con Nathan e l’abbraccio tra il giudice e la moglie dopo la cena a casa Matthew, con quel “adesso tocca a me” che fa da eco a quando Borsellino, intervistato dopo il funerale di Falcone, disse “Il prossimo sono io”. Come lettore vi posso assicurare che sono stati dei momenti estremamente emozionanti, volete raccontarci cosa avete provato voi nel realizzarli?

E.B.: Durante la lettura della sceneggiatura mi sono emozionato parecchie volte. Ed una di queste è proprio alla lettura della scena tra Matthew e la moglie, una delle mie sequenze preferite. Sono contento che le stesse emozioni sono filtrate dalle pagine dell’albo. Significa aver fatto un buon lavoro.

T.P.: Rispetto e gratitudine. Rabbia. Ho pensato che ciò che stavo scrivendo come finzione era accaduto e accade veramente a persone vere nella realtà. Persone che accettano di rischiare la pelle, rinunciando agli affetti e a una vita normale per un ideale di legalità e giustizia che dovrebbe essere di tutti.

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Pagina 10, due tavole che racchiudono un impatto fortissimo sul lettore, la citazione alla strage di Capaci è ovvia, ma non violenta o scontata; anche il resto dell’albo riesce ad evitare la retorica, la facile condanna a chi tace e non si ribella ad un sistema così opprimente. Le scene finali, la marcia che da il titolo all’albo, ha più il sapore della speranza che non dell’illusione. Al termine del lavoro, riguardando queste tavole, rileggendo le vostre parole e i commenti fatti al vostro fumetto, come vi siete sentiti?

E.B.: E’ stato particolare. Di solito un disegnatore corre a leggere i commenti per sapere se i disegni sono stati apprezzati, se hai “cannato” un deltoide o una prospettiva e lo sceneggiatore spera di non aver creato buchi o vaghezze narrative. Qui si andava oltre, bisognava passare una situazione emotiva che molti di noi conoscevano e altri potevano assimilare e poi approfondire tramite un’opera di intrattenimento come è un albo di “Nathan Never”. Sentire alcuni insegnanti che hanno fatto delle lezioni agli alunni con il nostro fumetto o lettori (di solito molto critici, perchè ben abituati) che ritengono che questa sia una delle migliori storie del Musone, ammetto che mi ha inorgoglito.

T.P.: Ho capito di essere riuscito a trasmettere le emozioni e i sentimenti che io per primo ho provato nello scrivere e nel ricordare. E’ stata una bella soddisfazione.

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Thomas, se non erro, sei alla tua prima esperienza come sceneggiatore di un albo a fumetti. Come inizio hai scelto di confrontarti subito con un tema attuale e che ha avuto un forte impatto sulla nostra società. Come mai proprio questa scelta?

T.P.: Non è stata una scelta. Potrei parafrasare una famosa canzone e dire che “le mie storie nascono da sole, vengono fuori già con le parole” 🙂 … Tra l’altro è in fase di disegno un’altra mia sceneggiatura altrettanto “particolare”, ancora per Nathan Never… Non nego che mi piace contaminare la fantasia con la realtà, ma in generale accade semplicemente che mi vengono delle idee e le elaboro; se mi sembrano buone, le propongo. Come esordiente forse ho rischiato un po’ di più? Non saprei. Ho creduto molto in questa storia e con me ci hanno creduto Glauco Guardigli e Emanuele.

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Emanuele, i tuoi disegni hanno saputo cogliere appieno gli stati d’animo dei protagonisti. Sono rimasto colpito in particolare dalla sequenza della visite in ospedale al giudice Kenneth ormai morente; la lacrima del piantone alla stanza del giudice, la mano di Matthew che cerca il conforto dell’amico e la squadra che piange furente la morte di Kenneth. Sono disegni intensi, forti e incredibilmente umani. Come sei riuscito a creare un simile livello di emotività? Quanto è stata centrale la sceneggiatura di Thomas nella ricerca di empatia dei volti di Nathan e compagni?

E.B.: Ti ringrazio. Hai beccato un’altra delle mie sequenze preferite a livello emotivo. La storia ha avuto il merito di farmi crescere anche come disegnatore. Io di solito prediligo le scene d’azione e non ero molto abituato a creare atmosfera con i neri o con le espressioni dei personaggi. Non posso che ringraziare Thomas (che con alcuni passaggi di descrizione della scena mi ha davvero fatto venire i brividi) e il curatore Glauco Guardigli per aver assegnato a me questa storia.

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LA LUNGA MARCIA ha avuto un ottimo riscontro presso i fan di Nathan (a giudicare dai numerosissimi commenti favorevoli sui social), che hanno apprezzato la vostra capacità di inserire un tema così pesante nell’universo dell’Agente Alfa. Come autori, cosa pensate di questa calorosa accoglienza? Vi aspettavate un simile riscontro?

E.B.: Onestamente no. Anzi, pensavamo di venire crocefissi in sala mensa… Ma mi han colpito molto anche i pochi commenti negativi che si concentravano, per farla breve, sulla “troppa realtà” presente nell’albo scritti da persone che preferiscono evadere dai problemi reali con avventure che li portino su altri mondi, con alieni, etc… Li capisco e sono d’accordo. Ma una storia così ogni tanto ci vuole. L’obiettivo era dare un pugno nello stomaco del lettore che non deve essere sempre e solo “coccolato”.

T.P.: Non mi aspettavo tanto entusiasmo. Anche in questo caso non sono sicuro che il merito sia mio. Sono piuttosto i personaggi reali a cui ho fatto riferimento a suscitare nei lettori tanto affetto e tanta emozione.

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Se doveste spiegare a dei ragazzi di oggi cosa sia la Mafia, come la presentereste?

E.B.: Domanda difficilissima. Noi ci abbiamo provato con la nostra storia. Poi, in questi mesi, stiamo venendo a contatto con numerose associazioni antimafia che fanno un lavoro splendido soprattutto con i bambini e gli adolescenti. Perchè la speranza poi è tutta lì…

T.P.: Io userei una famosa frase di Peppino Impastato…

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Lasciamo la parte sociale di questo vostro lavoro su Nathan e facciamo due chiacchiere sul mondo del fumetto. Quali sono gli autori che vi hanno maggiormente influenzato nel vostro modo di fare fumetti?

E.B.: Simon Bisley, Alan Davis, Goran Parlov, Eduardo Risso, Claudio Castellini, Giampiero Casertano i primi nomi che mi vengono in mente tra i disegnatori. Garth Ennis su tutti tra gli sceneggiatori. Frank Miller come autore completo. Ma ce ne sono un’infinità di autori che apprezzo… Poi un fumettista si fa influenzare da qualsiasi cosa per disegnare: può essere una singola vignetta di un autore sconosciuto, un’inquadratura di un film o la tizia seduta di fronte in metropolitana.

T.P.: Miller, Moore, Nolitta, Sclavi… Buzzati e Pirandello.

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LA LUNGA MARICA piace, oltre che per il tema, anche perchè ha un perfetto equilibrio tra la sceneggiatura e i disegni; non c’è un solo punto dell’albo in cui non si senta un perfetto contatto tra i sentimenti espressi dalle parole dei protagonisti e le espressioni che compaiono sulle tavole. Sicuramente questo è frutto di una grande affinità tra lo sceneggiatore e il disegnatore. Come è stato per voi due lavorare assieme a questo progetto? Ci svelate come si lavora alla creazione di un albo come questo?

E.B.: Io e Thomas non ci conoscevamo per niente. Poi lui, una volta saputo che avrei disegnato la sua sceneggiatura è stato così gentile da venire in un paio di manifestazioni in cui ero presente e ho avuto la possibilità di conoscere quest’omone tranquillo che dice di essere Batman. L’alchimia è andata bene perchè entrambi crediamo molto nella funzione sociale del fumetto (in precedenza ho partecipato a progetti che parlavano di sfruttamento della prostituzione [ArcasacrA] e della questione ILVA a Taranto [L’eroe dei Due Mari]) e tutto è andato liscio. Per qualsiasi dubbio ci si sentiva o scriveva tranquillamente.

T.P.: Come ho già avuto modo di dire, l’intesa con Emanuele è stata immediata. Non avrei potuto essere più fortunato, ho conosciuto non solo un grande professionista, ma una persona perbene e sensibile, che ha voluto e saputo dare molto di sè a questa storia. Abbiamo lavorato bene e in serenità. Spero di poter collaborare ancora con lui in futuro. Se proprio devo trovargli un difetto… Non crede che io sia Batman.

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Qualche tempo fa abbiamo espresso dei timori sul panorama attuale del fumetto italiano, criticando anche la Bonelli. Il nostro timore era che personaggi con una lunga vita editoriale alle spalle venissero snaturati dalle nuove leve; gli ultimi numeri di diverse serie Bonelli (Nathan Never, Dylan Dog ma anche prodotti relativamente nuovi come Orfani, Morgan Lost e Dragonero) ci hanno fatto ricredere. Voi che visione avete dell’attuale panorama fumettistico italiano? Quali possono essere i futuri sviluppi del comic made in Italy?

E.B.: Il fumetto italiano rispecchia molto bene l’andamento della nostra società: cerca di stare dietro a continui cambiamenti, su tutti i fronti e ormai a ritmo sempre più serrato, e cerca di capire come attrarre/trattenere lettori e staccarli almeno per un’ora dai dannati smartphone. L’unica via è puntare sulla qualità, oltre che sulla promozione. Una via che credo che la Bonelli stia certamente intraprendendo.

T.P.: Siamo in una fase di transizione e di grande cambiamento. Alla crisi si aggiungono le nuove tecnologie, che distraggono soprattutto il pubblico più giovane. Con i professionisti che abbiamo nel nostro paese il fumetto italiano è ben tutelato. Si tratta solo di avere un po’ di pazienza.

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LA LUNGA MARCIA ci ha colpito e siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal vostro lavoro. Potete svelarci qualche vostro progetto futuro e se vi vedremo nuovamente al lavoro sull’Agente Alfa o su qualche altra testata Bonelli?

E.B.: Ora sono al lavoro su una storia di Universo Alfa che mi terrà impegnato per almeno un altro annetto. In contemporanea continuo con i lavori limitrofi che adoro (storyboard per la pubblicità, illustrazioni per riviste) e spero per Lucca di fare il mio secondo artbook, visto che con il primo mi son divertito tantissimo ed ha avuto un buon riscontro.

T.P.: Come ho già detto, prima o poi uscirà un’altra mia storia su Nathan Never. Nel frattempo proverò a propormi anche per altre testate. Chissà…In tutti i casi il mio sogno nel cassetto è entrare gratis al Lucca Comics. Con il pass.

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La domanda che facciamo in conclusione a tutti coloro che accettano di fare due chiacchiere con noi è sempre la stessa: cosa significa per voi essere “nerd”?

E.B.: Per me, che disegno e leggo fumetti da quando ho 5 anni, significa “normalità”!

T.P.: Cercare di convincere le mie figlie che Nick Fury in realtà dovrebbe essere bianco e brizzolato…

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Come avete letto, La lunga marcia non è stato un semplice fumetto nemmeno per chi lo ha concepito e realizzato; ci vuole coraggio a confrontarsi con un tema così scomodo e radicato nel nostro tessuto sociale, come è impegnativo riuscire a offrire al lettore una visione reale e al contempo rispettoso di vittime e testimoni di certe vergogne italiane.

Nell’intervista, Thomas cita la figura di Peppino Impastato. Spero che pochissimi di voi ignorino chi sia (nel caso fate un passo su Wikipedia e continuate a scoprire questo eroe troppo spesso dimenticato ), ma quando ho letto il suo nome mi è venuta in mente un frase di Impastato (La mafia uccide, il silenzio pure. Non so se il richiamo fatto da Thomas fosse questo, ma credo che sia un’altra la frase di Impastato che meglio descrive il suo impegno, pagato a caro costo, e con quella mi piacerebbe chiudere:

“Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!”

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