Days Gone – La Recensione

Ancora zombie nell'attesissima esclusiva sony per playstation 4 dal nome Days Gone, ecco la nostra recesione

Eccoci di nuovo con un’altra recensione videoludica. Sta volta si parla di Days Gone, ultima fatica targata Bend Studio e pubblicata da niente meno che Mamma Sony. Tocca a me parlarvene, e come ogni recensione che ho scritto da quando mi sono unito alla redazione di Nerdgate, voglio rassicurarvi: tolto il classico incipit della trama, non ci saranno spoiler ma solo tanto, tanto sforzo analitico. Cominciamo!

Urla feroci, un’esplosione in lontananza… si scorge il fuoco alla fine di una percorso fra due palazzi che incrocia con una strada più grande dove una massa accalcata e disumana corre in maniera disordinata. Mi sento immediatamente colpito dalla classica sovreccitazione da pandemia. La stessa che mi ha investito quando ho iniziato The Last of Us, la stessa che ho percepito guardando 28 Giorni Dopo, la stessa che… avete capito. Mi trovo di fronte a Deacon, un tipaccio tutto tatuato ma col broncetto da cane bastonato. Il classico personaggio duro fuori ma burroso dentro. Capisco fin da subito la sua “natura” da motociclista, della serie che ci manca solo la scritta “Harley Davidson” stampata (o meglio, tatuata) sulla fronte. Vabbe’. Sta soccorrendo sua moglie, Sarah. E’ ferita all’addome, non riesce a camminare granché. E con loro c’è Boozer, altro macho con le braccia disegnate e il mento imbruttito, che fin da subito si intuisce essere grande amico di entrambi. Boozer e Deacon non sanno che fare. L’orda pandemica si sta avvicinando. Scorgono un elicottero con all’interno dei soccorritori pseudo scienziati. Lo raggiungono. Ma non possono salire perché l’elicottero è troppo pieno, mannaggia. Dopo una breve e quanto mai stereotipata diatriba con uno dei soccorritori, Deacon riesce a convincerlì di far salire almeno sua moglie. I due amanti si salutano. Sento l’orda che sta raggiungendo Deacon e Boozer. Vedo i due motociclisti guardarsi e fare l’espressione super dura. Lo schermo stacca sul nero. La sovreccitazione decade in un millisecondo. Questo non è The Last of Us. Questo non è 28 Giorno Dopo. Questo è Days Gone.

Sono passati due anni dopo la schermata del titolo del gioco. La pandemia zombi ha fatto il bello e il cattivo tempo, decimando la popolazione e rendendo gli umani infetti, furiosi (tale è il nome che viene affibbiato a chi diventa uno di loro). Deacon e Boozer ora sono soli a comporre un branco fatto di due lupi solitari, dove uno si porta dentro la tristezza della moglie scomparsa dopo averla lasciata ai soccorsi (nice try Croce Rossa, nice try), e dove l’altro sta un po’ lì a fare il companion fotocopia del protagonista ma senza il cordoglio nuziale. E niente, parte tutto da qui. Un’evoluzione narrativa davvero basilare, che non è che non soddisfi, ma che lascia decisamente pensare ad una scrittura non osata del tutto. Non mi fraintendete, il videogioco ha i suoi momenti, ed intrattiene dignitosamente, ma per tutti gli anni di lavorazione che ci sono stati dietro ad un titolo di questo genere, era lecito aspettarsi di più. Soprattutto per una casa di sviluppo che aveva estremo bisogno di rivoluzionarsi, o svecchiarsi, o uscire dall’antro in cui si era chiusa (scegliete voi una delle tre opzioni). Eh già, perché dopo una lunga parabola discendente chiamata Syphon Filter e una serie di giochi-estensioni di altri brand famosi, non è che quelli di Bend avessero fatto chissà cosa.
In Days Gone perfino la caratterizzazione dei personaggi e il modo in cui si articolano i loro legami, risulta infine null’altro che sufficiente. La fratellanza da strada fra Deacon e Boozer, forse troppo marcata in alcuni punti, è superficiale e tipica in questo genere di scrittura. Il classico legame fra due persone che fra scazzottate, viaggi coast to coast con la moto e bevute al bar ne hanno passate di cotte e di crude. Ed è un peccato perché questo sarebbe potuto essere un fattore molto interessante da sviluppare non convenzionalmente. Per non parlare della pandemia zombi, cardine di tutta la trama, che rimane in una quota stazionaria dal sapore di già visto. Soprattutto i retroscena del virus, che potevano dire qualcosa di diverso sul classico deflagare di quest’ultimo, smorzano l’eccitazione dicendoti nulla più di quello che hai già sentito fino ad ora in altri film, libri o videogiochi simili. A conti fatti mi sento di premiare soltanto ciò che lega il percorso narrativo di Deacon al background dell’infezione, e non mi allargo perché altrimenti infrangerei la regola con cui ho aperto questa recensione.


Il gameplay risulta ampiamente derivativo. La struttura delle missioni è simile a quella di videogiochi già provati in precedenza, come The Witcher III: The Wild Hunt e Horizon: Zero Dawn. Da un punto A ad un punto B, piccola fase di investigazione, incontro con i nemici, scontro violento o non violento, risoluzione. Che va anche bene così, eh! Paradossalmente il già citato Horizon lo si poteva benissimo definire come un derivativo nella struttura delle missioni, con la differenza che sta volta ci troviamo di fronte ad un titolo che soffre sotto altri elementi volti probabilmente ad arricchire l’esperienza di gioco, ma finendo col rovinarla. E qui entra in scena la moto! Ah! Il bolide! Ciò che avrebbe dovuto collegare emotivamente e materialmente il mondo di The Walking Dead a quello di Sons of Anarchy! La brezza del vento fra i capelli mentre si sfreccia ad alta velocità in mezzo alle strade di montagna! O perché no? L’adrenalina mentre si fugge in sella al tuono dai furiosi? No. O meglio, quasi ma non del tutto (che è peggio del No secco)… entriamo più nel dettaglio. Anzitutto la moto è per il giocatore il modo migliore per muoversi dentro la mappa (molto ampia devo dire) di gioco. Il che implica che il mezzo in questione è per forza di cose una risorsa essenziale per il personaggio e quindi anche per noi che giochiamo. E’ evidente come i ragazzi di Bend Studio abbiano scelto di rendere il tutto più realistico possibile, finendo però con l’esagerare sensibilmente. La moto avrà infatti periodicamente bisogno di benzina, spingendo il giocatore a cercare taniche per riempire il serbatoio ogni quattro o cinque tratte in sella al bolide. Questo solleva due problemi. Il primo: dopo un po’ è quasi una scocciatura stare sempre a riempire il benedetto serbatoio (si rischia di rimanere a piedi e spingere la moto in pieno stile Final Fantasy XV). Il secondo: ci sono taniche piene di benzina ovunque, OVUNQUE… un po’ inverosimile.
Proseguendo, la moto sarà anche in grado di rompersi. E per ripararla è necessario l’ausilio di alcuni rottami (facilmente reperibili durante gioco). Come idea di base non risulta estranea, e sicuramente funziona meglio della sorella benzina, ma è doveroso precisare come questo rallenti il ritmo del gioco.
Days Gone detiene un gunplay sporco, non del tutto preciso, ma non è questo l’elemento su cui un titolo del genere fa affidamento, quindi la maggioranza dei giocatori ne rimarranno soddisfatti. Lo sthealth funziona, ma cozza con un intelligenza artificiale non del tutto ben confezionata, dove basterà allontanarsi dai nemici con cui si stava combattendo un attimo prima per poi prenderli alle spalle e rovesciare la situazione al proprio vantaggio. La questione degli infetti è nel gameplay l’unico vero punto forte. I furiosi sono molto semplici da uccidere, ma è sempre meglio farlo senza destare attenzioni poiché un colpo esploso o qualche urlo di troppo e il giocatore si ritroverà attorniato da decine e decine di zombi pronti al pasto. E’ importante precisare come questo sia un elemento ben costruito, capace di far sentire chi gioca impotente e, talvolta, destinarlo alla fuga. Aumenta di molto il senso di sopravvivenza e rende bene da un punto di vista sottotestuale come, alla fine dei giochi, non siamo davvero degli eroi invincibili.


Infine il comparto grafico si alterna fra animazioni esaltanti e momenti di non perdonabile innocenza. I volti dei personaggi principali sono animati abbastanza bene, e come già presagito le orde dei Furiosi sono spettacolari da vedere, ma i comprimari non brillano affatto per cura dei dettagli, soprattutto alcuni, quelli che fanno parte delle più tipiche missioni random disseminate nella mappa, che hanno praticamente tutti lo stesso volto ma con capelli differenti.

CONCLUSIONI: "Tirando le somme: Days Gone non è un gioco brutto, non merita di rimanere nello scaffale e non può essere considerato al di sotto della sufficienza… ma neanche al di sopra. Narrativamente siamo sempre lì, con una trama che non vi sorprenderà a meno che voi non viviate dagli anni ‘90 dentro a un bunker, proseguendo con un gameplay interessante ma traballante e con un comparto grafico che nel 2019 non vi farà slogare la mascella. Un titolo valido se preso per quello che è, senza aspettative di sorta."

VOTO FINALE: 5.5

SCHEDA GIOCO

  • DATA RILASCIO: 26/04/2019
  • GENERE: Avventura Survival Horror
  • SVILUPPATORE: Bend Studio
  • PUBLISHER: Sony Interactive Enterntainment
  • PIATTAFORME: Playstation 4
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