Dal genio imprenditoriale di Kazunori Ito, la regia di Osamu Kobayashi e l’abile pennino di Akemi Takada, nel 1983 nasceva in Giappone Creamy Mami, una serie televisiva firmata dallo studio d’animazione Pierrot che avrebbe dato il via alla creazione di un vero filone produttivo tutto dedicato alle “maghette” trasformiste degli anni ‘80.
La serie animata andata in onda in Giappone a cavallo tra il 1983 e 1984 per ben 52 episodi, e arrivata in Italia a pochi anni di distanza, ebbe il merito di creare un vero e proprio fenomeno pop, tanto imponente da spingere il successo dell’idol in carne ed ossa che interpretava l’affascinante Creamy Mami: è proprio a partire dalla popolarità della serie tv fra spettatori di ambo i sessi, infatti, che la carriera di Takako Ota subì un’impennata, tanto da portarla a pubblicare ben 26 album (!) a partire proprio dal 1984 fino alla recente raccolta di suoi Best Of pubblicata nel 2004.
Ma non fù tutto merito della magia della maghetta Creamy, bensì dell’intuizione di Kazunori Ito quella a segnare il vero e proprio successo commerciale dell’intera produzione; Ito-san, infatti, si ispirò al format commerciale “media mix” ipotizzato dal precedente Pink Lady Monogatari (“La storia della ragazza rosa”, inedito in Italia) nel 1978: anche quella serie animata fu ideata per promuovere il successo di un nascente gruppo J-POP, ma mancava della modernità e il fascino dei colori fluo che solamente una serie animata realizzata negli anni ‘80 con un cast tecnico d’eccezione come Creamy Mami poteva vantare (tanto per intenderci, un “campione” come Koji Makaino si trovava alla composizione della soundtrack, e i più lo ricorderanno per l’indimenticabile colonna sonora de “Le Rose di Versailles”, ovvero il nostrano “Lady Oscar”).
Ma tutto questo non ci deve importare, poiché la vera occasione per riscoprire in qualche modo lo storico testamento del successo della serie animata Pierrot è la recente ripubblicazione del manga “Creamy Mami – L’incantevole Creamy New Edition” di Star Comics, in un’imponente edizione da ben 376 pagine. Il volumetto contiene i tre tankobon che componevano l’intera serie manga ad opera della debuttante Yuko Kitagawa, e ci offre l’occasione di rivivere una versione ridotta delle avventure di Yu Morisawa e del suo affascinante alter-ego, tanto affascinante quanto misterioso.
Per chi avesse vissuto sino ad oggi sotto un sasso, la storia racconta infatti di una giovane ragazzina di soli dieci anni che grazie all’aiuto di due misteriosi gattini alieni, Posi e Nega, entra in contatto con la magia: ancora lontani erano i tempi delle “majokko sentai” rese tipiche dalla pubblicazione di Bishojo Senshi Sailor Moon, e infatti i poteri di Yu sono votati alla risoluzione delle piccole, grandi avventure e tensioni della prima adolescenza più che alla salvezza dell’umanità tutta.
Ad accompagnarla, oltre alle fidate mascotte antropomorfe, troviamo un intero cast di personaggi memorabili: dall’amica-e-rivale, Megumi Ayase (ora protagonista di una recente serie spin-off sempre edita in Italia da Star Comics), passando per lo strampalato manager belloccio e l’amico d’infanzia – e telefonatissimo interesse amoroso – Toshio, ogni personaggio incastonato nella semplice ed eppur effervescente storia di cui è protagonista la giovane Yu gioca un ruolo fondamentale negli equilibri del classico canovaccio di romanzo di formazione di cui quest’opera si caratterizza, lasciando intravedere tra le pieghe delle sue innocenti avventure solamenti accenni a quelle tensioni adolescenziali che verranno in seguito affrontate con maggiore schiettezza nel successivo lavoro del regista di Creamy Mami, ovvero Kimagure Orange Road, noto in Italia col nome di “E’ quasi magia Johnny
Il lavoro svolto dalla Kitagawa per trasporre la ben più valida serie animata in un fumetto sufficientemente avvincente rimane comunque apprezzabile solamente dai fan più accaniti, magari in cerca di un corrispettivo cartaceo delle storie più memorabili dell’opera televisiva. Si tratta infatti di questo: una condensazione degli eventi chiave e di alcune delle avventure più riuscite della magica Idol Creamy, benché sia il tratto che la scrittura denotino una fattura neanche lontanamente comparabile alla grandezza dell’opera originale. Non è un’opera invecchiata particolarmente male, ma un fumetto che anche all’epoca tradiva l’ovvia identità di mero veicolo promozionale per la ben più seducente serie televisiva, magari fungendo da perfetto gadget per chi, all’epoca, non avrebbe mai potuto permettersi un’ipotetica pubblicazione home video dell’intera serie televisiva. Pur sforzandosi di rispettare gli stilemi grafici del manga shojo, ovvero quello riferito principalmente al pubblico femminile, è chiara la poca dimestichezza dell’autrice alle prese con improbabili prospettive e semplici composizioni delle tavole; infine, è da notare che anche il tratto acerbo è ben poco allineabile agli altissimi standard tipicamente propri della produzione della character designer della serie tv, Akemi Takada. Di norma le serie tv d’epoca giapponesi tendono ad avere corrispettivi manga dalla grafica generalmente più curata, ma questo è una delle poche eccezioni, e la pubblicazione contemporanea alla messa in onda descrive in modo molto chiaro quale fosse l’intenzione degli autori.
Rimane in ogni caso un discreto veicolo celebrativo per la memoria di una delle più popolari e celebrate serie tv giapponesi della prima metà degli anni’80, nonché un’occasione per scoprire un finale alternativo decisamente meno aperto di quello visto nel toccante ultimo episodio della serie tv: non c’è spazio per epiloghi aperti atti ad accogliere i buffi cross-over che invece hanno seguito le avventure televisive di Mami (così è conosciuta in Giappone la nostra Creamy), ma una parola “fine”, puntata e netta che lascia poco spazio all’immaginazione quando si tratta di Yu e della sua tormentata storia pre-adolescenziale con Toshio. Ma questa è forse è l’unica vera attrattiva di un brossurato e ricco volume (con poster annesso) che, al di là della celebrazione storica di un brand così importante per l’anime commerciale giapponese e la storia dell’animazione in Italia, offre una reintepretazione grafica e narrativa di cui, francamente, si può tranquillamente anche fare a meno.