“La certezza è la morte della tolleranza”, così vien detto durante l’omelia del decano Lawrence, la quale può tranquillamente rientrare in uno dei monologhi più interessanti del cinema. È così che mi sbilancio alla prima frase della recensione di Conclave. De botto. E su quest’onda continuo a surfare, sottolineando l’interpretazione -forse una delle migliori- di Ralph Fiennes. L’attore -per i meno confidenziali con i nomi- è quello che ha interpretato Voldemort e riesce a riportare sulla cinepresa tutta la sua esperienza teatrale e cinematografica. Il pathos che riesce a trasmettere e la sofferenza che fuoriesce dalle sue espressioni si uniscono perfettamente in un vortice di emozioni che travolge la sala.
Conclave, distribuito da Eagle Picture e in uscita il 19 dicembre ’24, vede alla regia Edward Berger e un cast davvero di livello. Tanto per fare alcuni nomi: Sergio Castellitto, che porta tutta la sua qualità e passione; Stanley Tucci che ha più film all’attivo lui che io ore di vita; Isabella Rossellini con la sua candidatura a migliore attrice non protagonista proprio per Conclave; John Arthur Lithgow, che ci regala un’altra interpretazione davvero imponente.
La trama vede come pilastro narrativo -ma non mi dire- il conclave. L’editio princeps di un papato, che si sviluppa tra votazioni e correnti politico-religiose che si scontrano. Proprio in questo contesto, il decano Lawrence deve mantenere salde le briglie delle elezioni, facendo sì che l’uomo più adatto possa prendere in mano le chiavi di San Pietro. Tra uno scandalo, un intrigo e un colpo di scena, potremmo dire che il finale di Conclave -non dovrebbe essere uno spoiler- si conclude con l’ovvia elezione del papa.
Quanto ci viene regalato in questo lungometraggio va oltre le singole interpretazioni degli attori. Magistrali, per carità, ma ben accompagnate da una colonna sonora densa, cupa e -a tratti- angosciante. Il perfetto connubio tra musicalità –Volker Bertelmann– e fotografia –Stephane Fontaine– regala allo spettatore una giusta dose di instabilità che ci accompagnerà per tutto il tempo. Proprio quest’incertezza fa da sfondo a tutto il contesto: dalla fede nella Chiesa del defunto papa alla sicurezza fisica dei cardinali nel conclave. Una coperta di vulnerabilità che viene rimossa lentamente durante tutto il film, ma che permette di delineare la futura scelta ben prima che questa avvenga. Ed è qui che, ancora una volta, Berger ci sorprende con un tema delicato che viene descritto da un colpo di scena molto interessante.
Le tematiche affrontate dal regista sono di attualità e, tanto più, delicate dentro la Chiesa. È proprio questo “dentro la Chiesa“ ad essere sottolineato durante tutta la visione. Nulla al di fuori del Vaticano viene evidenziato, facendo vivere allo spettatore un conclave cinematografico. Fanno eccezione le notizie provenienti dal mondo esterno necessarie per lo sviluppo dell’arco narrativo. Proprio questa concentrazione romanzata di eventi accentua l’umanità del clero, più volte menzionata esplicitamente. L’equilibrio tra la struttura tipica del romanzo e il ritmo politico-ecclesiastico, che tutto il cast riesce a mantenere, sono ottimi ingredienti che bollono nella pentola. Tra questi, il perfetto mix di lingue che si aggiungono gradualmente. Prima una bella dose di inglese, lingua di comunicazione tra i più, poi una fetta di latino e, giustamente, di italiano. Per condire, dello spagnolo alla fine ci permette di vivere un’esperienza multilingua molto credibile ed immersiva nel contesto.
Fiducia, affetto, politica, potere, correnti di pensiero e ambizione, sono tutti aspetti che toccano ognuno dei personaggi. Dal cardinal Tedesco -Castellitto- al cardinal Benitez –Carlos Diehz– tutti affrontano, più o meno esplicitamente, tali argomenti.
Sicuramente, è una delle pellicole che meritano il prezzo del biglietto e che più mi ha colpito negli ultimi anni.