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WESTWORLD: DOVE TUTTO É CONCESSO
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Una serie come Westworld non poteva che crea una fortissima aspettativa. Basato su un romanzo di quel genio che era Michael Crichton, già nel 1973 ebbe un trasposizione cinematografica, da noi intitolata Il mondo dei robot; tra la pellicola citata e la serie attuale sono passati parecchi anni, la percezione delle IA (uno dei concetti base della serie) è entrata pesantemente nel vivere comune, rendendo questa serie estremamente affascinante sotto diversi aspetti!
Prima di addentrarci nel vivo del discorso, precisiamo che abbiamo visto la prima puntata in lingua originale. Senza nulla togliere al doppiaggio italiano (che nonostante abbia molti detrattori, ci regala sempre delle soddisfazioni), ascoltare in lingua originale Westworld è stato semplicemente stupendo; la profondità della voce e la dizione così british di Sir Anthony Hopkins è sempre un’emozione, ma anche gli altri attori (Ed Harris in primis) hanno saputo trasmettere anche vocalmente tutto il pathos dei propri personaggi. Per uno show come Westworld sarebbe preferibile l’ascolto in lingua originale, visto che gran parte dei dialoghi presentano uno slang molto particolare, frutto dell’ambientazione western del serial; anche i diversi attori, provenienti da diversi paesi, mettono il proprio accento a disposizione della produzione, creando una variopinto puzzle di pronunce che, a mio avviso, dona al tutto un mood internazionale anche ai dipendenti del parco.
WESTWORLD CI PORTA IN UN MONDO DOVE POSSIAMO REALIZZARE OGNI NOSTRA FANTASIA, MA A VOLTE I SOGNI POSSONO DIVENTARE INCUBI
Perché sostanzialmente, Westworld è un parco divertimenti in cui i clienti possono avverare le proprie fantasie, senza limiti, andando anche nella sfera più intima, quella sessuale (HBO sappiamo bene non farsi problemi in questo ambito). Al fine di offrire un’esperienza immersiva e completa, viene ricreato un ambiente quanto più fedele al West, in cui clienti e animatonic si mescolano, senza che gli avventori sappiano distinguere umani da robot. La gestione di questo immenso palcoscenico è affidata a un team di tecnici, una squadra che offre sia sceneggiatori che tecnici dediti alla manutenzione e alla creazione degli animatronic.
Nella prima puntata (che ha una durata alla canonica ora di cui è composto ognuno dei dieci episodi della serie) assistiamo all’arrivo di Teddy Flood (James Marsden), giovane intenzionato a godersi la bellezza di Westworld, in particolare Dolores Abernathy (Evan Rachel Woods), ragazza del luogo. Durante il loro incontro, qualcosa sembra malfunzionare nei robot del parco, che iniziano a manifestare comportamenti violenti ed estranei alla loro programmazione. Questa problematica preoccupa il responsabile della creazione delle IA, Bernard Lowe (Jeffrey Wright) e il creatore del parco, il dottor Ford (Anthony Hopkins), i quali scoprono che il problema sembra essere l’ultimo aggiornamento del sistema dei robot; quello che in realtà emerge, è che la manipolazione delle IA da parte del dottor Ford si sta spingendo molto oltre il necessario, ricorrendo alle Fantasie, ovvero al capacità di prendere una maggior coscienza di sé anche attraverso immaginazione e desideri.
Questa prima puntata mette subito in campo la potenza di Westworld.
Non c’è da stupirsi se alla sceneggiatura troviamo Jonathan Nolan, fratello del regista Christopher, con cui ha collaborato per molte pellicole, dalla trilogia di Batman a Interstellar, ma soprattutto Inception. Proprio quest’ultima sembra ispirare le scelte di Nolan. In Westworld torna nuovamente a rivestire una grande importanza la percezione della realtà; i problemi con i robot iniziano quando questi cominciano a dubitare del proprio ruolo, nel momento mettono in dubbio se la vita che stanno vivendo sia reale o solo una pallida imitazione di un’esistenza reale. I dialoghi in cui Ford si confronta con i robot difettosi sono estremamente intensi, coinvolgenti e di impatto; è un approccio alla sci-fi molto ragionato, cervellotico, tipico della concezione dei Nolan. Anche se non manca l’azione (spettacolare la sparatoria accompagnata da una strepitosa cover strumentale di Paint it black dei Rolling Stones), l’impronta della serie tende ad essere più psicologica, con una forte rilevanza del confronto tra realtà e percezione che abbiamo di essa. Tramite la spinta che Ford cerca di imprimere ai propri robot verso una maggior consapevolezza di sè si può vedere come il diverso modo di vedere il mondo cambi anche il comportamento dei singoli robot, che iniziano a capire come la loro vita sia in realtà una non-vita.
Due scene in particolare sono simbolo di questa anima della serie.
Quando Ford e Lowe analizzano i comportamenti di Peter Abernathy sembrano indagare non solo nella programmazione, ma nell’anima stessa del robot, che assume tutti i connotati di una persona reale; le risposte date sono incredibilmente umane, il senso di protezione verso quella che lui percepisce come la propria figlia sono vive, intense. Se da un lato Lowe cerca di capire come risolvere questo glitch di sistema, Ford appare più intenzionato a comprenderlo per correggerlo e renderlo ancora più efficace. La figura di Lowe mi ricorda in modo abbastanza forte quella della robopsicologa Susan Calvin, la protagonista di tante storie sui robot di Asimov; la loro funzione è simile, analizzare la mente dei robot e scoprirne le falle, al fine di correggerle. Affascinante il ruolo del Pistolero (Ed Harris), che dovrebbe essere la nuova versione del personaggio interpretato da Yul Brynner nel film del 1973; per ora abbiamo solo visto la sua ferocia e il suo lato violento, ma le motivazioni sembrano indicare che anche lui abbia capito che il mondo in cui si muova nasconda qualcosa. Parte del problema nasce anche dal fatto che l’eccessiva libertà lasciata ai fruitori del parco si trasforma in un abuso sfrenato di una libertà eccessiva. All’interno del parco il motto Dove tutto è possibile viene incarnato in pieno; i robot diventano il mezzo con cui ogni fantasia, pura o maligna, può essere realizzata, dando sfogo anche agli istinti più bassi. La presa di coscienza dei robot, che iniziano a percepire il loro ruolo di semplici sfogo emotivo per umani, diventa in quest’ottica una minaccia non solo per la linea guida del parco, ma anche per gli avventori che si trasformano da carnefici in potenziali vittime.
Westorld è appena iniziato, eppure ha già avuto modo di mostrare la propria caratura. Bisogna ammettere che il ritmo non è dei più intensi, ci sono attimi in cui la parte “cervellotica” prende il sopravvento, specialmente quando si cerca di dare una caratterizzazione ai singoli personaggi, evidenziandone più i difetti che i pregi. Westworld è il degno figlio di Jonathan Nolan, sia per le tematiche trattate che per lo stile narrativo che lo contraddistingue, rendendolo un serial particolare che merita sicuramente di essere seguito attentamente.
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- GENERE: Thriller/ Sci-FI
- CREATORE: Jonathan Nolan, Lisa Joy
- NETWORK: Sky Atlantic
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