OUTCAST 10 – Recensione

SOTTO L'ALA DEL DIAVOLO

24 Nov 2016

outcast 10

Siamo giunti ad un punto di svolta in Outcast. Kyle è prigioniero dei posseduti, dopo che, insieme al reverendo Anderson scopre che essi stessi sono infastiditi da rumori molto forti.

Quello che mi stupisce non è tanto la storia in sé, anche se molto ben costruita e con un paio di pezzi molto “forti” (no, non vuol dire che non va bene per chi ha lo stomaco debole…). Quello che mi stupisce è la semplicità di Robert Kirkman, e per spiegarvelo meglio mi riferisco ad un fatto che mi è capitato alcuni giorni fa. Nel luogo dove lavoro parlo spesso con il direttore della galleria commerciale che è appassionato di letteratura come me e ci confrontiamo spesso anche sul mondo del fumetto. Si parlava anche del fatto di scrivere storie (anche dal punto di vista personale) e di come ormai tutto ormai sia stato scritto: ma- anche se è vero, o quasi che tutto sia stato già scritto, ciò che cambia è il modo in cui una storia venga ad essere raccontata. Questa è la peculiarità di Kirkman. Ci sta raccontando una storia di cui il genere horror è ormai zeppo ed intriso di luoghi e scene comuni, quasi scontate. Ma la sta raccontando in un modo nuovo. Così come ha fatto, e sta continuando a fare con molto successo, con The walking dead (ricordate che la Image non voleva prendere in considerazione la storia di un apocalisse zombie, ma lui, raccontando un’enorme balla diceva che sarebbe diventata una storia in cui gli zombi sarebbero stati gli alieni? E tutto questo fu fatto per farsi accettare lo script, poi accadde tutto quello che sappiamo…).  Perché anche TWD non è altro che la solita storia di zombi, ma raccontata in un altro modo, moderno e nuovo.


LA DIMENSIONE DELLA BATTAGLIA DI KYLE TRASCENDE IL SEMPLICE TRA BENE E MALE, DIVENTANDO UN’APOCALISSE PERSONALE


Fattore centrale è l’elemento psicologico e sociologico. Continuo con il paragone fra queste due serie. TWD sembra orma incarnare quello che è, più che un apocalisse zombi, un’apocalisse umana, ma apocalisse nel senso letterale del termine, ovvero una rivelazione di quello che l’uomo è nel profondo, quasi a rasentare gli istinti primordiali (chi non ha visto – o letto – la scena di Negan che usa Lucille su Glenn…beh è quello a cui mi riferisco). Sembra di essere immersi in una visione post apocalittica “goldingiana” del Signore delle Mosche, senza l’elemento salvifico finale, almeno per il momento…

Se così con TWD Kirkman si ha una lettura sociologica dell’uomo ai tempi degli zombi, in Outcast ne dà, per contro, una psicologica: descrive, ed in molti momenti a tinte fosche, quella che è un’apocalisse -sempre nel vero senso del termine – personale. Kyle scopre lentamente chi egli sia e lo fa in un modo che non vorrebbe, imprigionato nella cantina della casa di uno dei posseduti: quante volte le situazioni esterne ci hanno portato al limite e ci hanno fatto scoprire quello che siamo realmente e della “sostanza” di cui siamo fatti? Ho detto all’inizio che questo episodio incarna un punto di svolta per la storia: Kyle è faccia a faccia con il proprio nemico ed alcune cose gli vengono svelate. Sidney (il suo carceriere, quello che crede essere il demonio in persona) gli pone alcune domande e gli instilla alcuni, se non addirittura tanti, dubbi (d’altronde quello è il suo ruolo…). Si ritiene un uomo migliore nonostante le sue malefatte, non è quello che Kyle creda che lui sia, e soprattutto afferma che sia sbagliata la dicotomia bene/male, perché alla fine, per quello che lui sta compiendo, si sente della parte del bene. A lui, ai posseduti, servono i reietti. Il perché è presto detto. Perché hanno qualcosa dentro “un frammento sepolto a fondo “ che è “un pezzo del posto da cui provengono”. Quasi a dire che in ogni uomo ci sia, anche se proiettato verso il bene, un po’ di male.  Anche se me è sempre piaciuta la visione “tolkieniana” del bene e del male secondo cui “il bene e il male sono rimasti immutati da sempre [..]Tocca ad ognuno di noi discernerli , tanto nel Bosco doro, quanto nella propria dimora” ove il bene ed il male, e la loro natura,  sono sempre stati certi: la loro diversità sta nelle forme sempre in evoluzione che assumono, appare molto interessante questa idea che Kirkman ha intenzione di sviluppare.

outcast 10

Quello che Kyle ha dentro è parte di sé, è la sostanza di lui, e di quelli come lui (eh si , ce ne sono parecchi, parole di Sidney…), non è un dono. Staremo a vedere se il peso delle parole del carceriere e capo dei posseduti avranno su Kyle e se, soprattutto corrispondono a verità, oppure sono un qualcosa di edulcorato per convincere Kyle, di sua volontà, a passare dalla loro parte.

Nel frattempo continuano senza sosta e ricerche del reverendo Anderson di Kyle. Ricerca di se stesso – oltre che dell’amico/collaboratore – del proprio ruolo e della fede che quasi ha perduto : emblematica la frase in cui sostiene che ha tanto odio dentro di sè e che teme che lui abbia già vinto. L’indagine sulla fine di Kyle lo  fa imbattere con Allison, sua ex moglie. Passa poi da Brian, che non trova in casa, quasi non voglia farsi trovare, ma la moglie Rose lo rassicura: è fuori città per un colloquio di lavoro. La spiegazione non lo convince, e, dopo essersi allontanato, tornando sui suoi passi, cominciano per lui altri guai.

CONCLUSIONI: Ci vediamo tra due mesi su queste pagine per scoprire che ne sarà di Kyle del reverendo Anderson e dei reietti. A presto!

VOTO FINALE: 7

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