Un uomo occidentale parte per Tokyo per raggiungere la foresta “dei suicidi”, il luogo secondo Google ideale per uccidersi. Inizia a girovagare fra tronchi e rocce nere vulcaniche, incontra un altro apprendista suicida e diventano amici. Iniziano così alcuni flashback e altri racconti in cui viene descritta la sua vita fino a quel giorno e i motivi che l’hanno spinto alla ricerca della fine.
Un film sulla morte, lento e un po’ noioso. Un grande attore Matthew McConaughey capace di tenere alta l’attenzione. Il suo personaggio è il protagonista assoluto, mattatore di una ricerca spasmodica di speranza più che di morte. L’incontro con l’altro moribondo giapponese con vene tagliate è piacevole e sembra condurre i due verso la salvezza. Non posso dire come finisce, anche se non c’è chissà quale finale mozzafiato, anzi è abbastanza scontato. Interessante, forse un breve e accennato scontro culturale e forse un accenno al fatto che per diversi motivi le culture globalizzate non sono state mai così vicine, benché diverse nelle motivazioni. Noi Occidentali mossi e schiavi del complesso di colpa e i giapponesi vinti dal senso di inadeguatezza e sconfitta. Emergono nel corso del film alcuni e leggeri spunti come il senso di infelicità che tiene insieme lui (McConaughey) e la moglie, coppia litigiosa e cupamente triste; la foresta dei “sogni” come luogo in cima alla lista di Google alla voce: “Il luogo miglior per suicidarsi”. Comunque il film è lontano dal essere un capolavoro.
MANCANO PROFONDI RAGIONAMENTI SULLA VITA E SOPRATTUTTO FORTI MOTIVAZIONI PER TRATTARE UN ARGOMENTO COSI TOTALE COME LA MORTE
Nel film si parla anche un poco d’amore, quasi come una piccola luce nel buio fitto della foresta e nel buio fitto del “purgatorio”, nel buio fitto di una ricerca di morte. L’amore è però grigio e solo nel finale distenderà i suoi aculei.
Il film è fatto di silenzi, foto e fantasmi. Effetti che lasciano trasparire la volontà di pescare messaggi nel profondo dell’io più recondito e invece mancano i piombi e l’attrezzatura adeguata. I dialoghi scarni, grandi attori e un grandissimo tema centrale non sono sufficienti per portare il prodotto finito ad essere geniale o artisticamente di alto livello.
Odio la fine, odio la morte ma di più odio il parlare di un tema epocale e totale con brevi accenni e banali mottetti sperando che il pubblico ci trovi qualcosa di più.
Tutto terminerà in poco e nulla, forse nello stesso nulla che è il messaggio finale di fine esistenziale. Il blocco occidentale capitalista e industriale che comprende in parte anche gli ex alleati dei nazisti durante il giorno in cui si compiva il peggiore male che l’umanità abbia conosciuto, appare come un mondo stanco, senza idee e ideali che forse ha bisogno di un po’ di “reale spiritualità” e anche di guardare oltre alla realtà. Alla fine il nostro bello e fallito scienziato, intellettuale e scrittore cerca solo di trovare speranza e fede. L’uomo scientifico è stufo di sprofondare nel materialismo. L’uomo di scienza è troppo triste senza qualcosina di altro oltre questa vita.