Indiana Jones e l’Antico Cerchio: La Recensione

Indiana Jones in grandissimo spolvero sulle console

Nel 1981 uscì nelle grandi sale il primo di una lunga serie di prodotti basati sull’archeologo più figo che il cinema potesse immaginare: I Predatori dell’Arca Perduta. Qui venivano raccontate le gesta di Indiana Jones: un giovane Harrison Ford nei panni di un docente-archeologo troppo scalpitante per un’aula universitaria. Proprio in questo contesto ha inizio anche il prodotto videoludico: in Indiana Jones e l’Antico Cerchio abbiamo una riproduzione fedele della prima scena nel tempio, tra trappole, azioni e un certo sentimento di nostalgia. La precisione con cui viene riprodotta la scena è notevole, sia nelle riprese che nelle espressioni facciali. L’opera che incontreremo come esclusiva temporale per Xbox, pubblicata da Bethesda, vuole sottolineare la bellezza della preservazione di stile e ambientazioni. Con un chiaro intento anche innovativo, l’universo archeologico più famoso al mondo entra nel paddock di licenze del team di Todd Howard.

“Se vuoi diventare un bravo archeologo devi uscire da questa biblioteca”, è un po’ lo spirito con cui viene affrontata questa nuova storia. Il titolo non delude assolutamente né il videogiocatore né il cinefilo. È possibile riscontrare, infatti, modelli, scene, ed espressioni significative. Indiana Jones –Harrison Ford– e la coprotagonista Gina Lombardi –Alessandra Mastronardi– sono riprodotti in maniera fedele sia nei modelli che nelle espressioni. E riportare l’espressività in maniera coerente, soprattutto quella nota di Jones, consente al videogiocatore di immergersi ulteriormente nel titolo. La paura per i serpenti, la spregiudicatezza e l’amore per il suo cappello, sono fedelmente accompagnati da espressioni, gameplay e scelte di design calzanti nel contesto.

Le interpretazioni degli attori sono fondamentali in un titolo come questo. Definirlo semplicemente un videogame sarebbe riduttivo e le molte scene cinematografiche, infatti, lo avvicinano al mondo cinematografico. Al grande carisma di un Harrison Ford -sostituito da un ottimo Troy Baker– si accosta la grande interpretazione di Alessandra Mastronardi, una coprotagonista intensa ma divertente e, quindi, perfettamente inserita nel contesto.

Prima di raccontare la trama, finemente inserita nelle storie canoniche cinematografiche, facciamo qualche commento sul videogioco come prodotto.

Partiamo dal Gameplay, sicuramente una delle componenti più importanti in un titolo del genere. Qui, il desiderio di immersione contestuale si trasforma in un titolo in prima persona che, in alcuni casi, si trasforma in terza. Unita forse ad una semplificazione lavorativa per il team di sviluppo, la scelta ci permette di vivere dinamicamente i panni di Indy. Nel 95% del gioco giocheremo in prima persona -modelli delle gambe visibili e non fuori dalla meccanica di gioco- con la possibilità di interagire con tantissimi oggetti contundenti o meno. Solamente in momenti dinamici come il balzo da una sporgenza ad un’altra, attraverso la frusta, e l’arrampicata, sempre tramite la sua fedele alleata, passeremo alla terza persona. Questo passaggio visivo risulta tendenzialmente scorrevole e naturale anche se, in alcuni casi, pecca di evidente scattosità.

Possiamo schiaffeggiare un fascista con uno schiacciamosche -uno degli obiettivi del gioco- o lanciarli addosso una pentola. Con questo, voglio sottolineare l’incredibile quantità di oggetti a disposizione per difendersi o alzare le mani. Tutte queste potenziali armi vengono collocate con intelligenza, evitando una disposizione avulsa dal contesto. Quindi, se camminate nella giungla -a meno di accampamenti- non troverete una mazza o una bottiglia nel mezzo del cammin di vostra esplorazione. L’incipit delle armi stride poi nel combattimento in maniera fastidiosa. Una modalità divertente, che fa sorridere nel ricordo delle azzuffate cinematografiche ma che potrebbe suonare monotona a lungo andare. Pochi i modi di reagire ad un attacco: o schivo o paro per contrattaccare (unica tattica con gli avversari giganti).

Ma, per carità, potremmo anche dire che non era loro intenzione dare risalto al combattimento così come allo stealth. Nonostante le varie parti in cui è meglio non farsi scoprire, sono evidenti i limiti dell’IA in questo contesto. Basta uscire dai 180° -ma nemmeno- davanti al nemico che si diventa invisibili. Ma questo, per quanto fastidioso, potrebbe anche essere un elemento passabile -pochi sono quei giochi in cui lo stealth è splendidamente realizzato. Quello che davvero decontestualizza l’immersività raggiunta è la collocazione a livelli verticali della visibilità delle guardie. Esempio: se ci si trova al piano superiore con visibilità evidente da quello inferiore -dopo aver messo a terra due guardie- le quattro sotto non sentono e non vedono. Boom, così, senza senso.

Tuttavia, il gameplay non si ferma solo a questo ma va ben oltre. Dimostrando come l’intenzione sia quella di immergere il giocatore nell’esplorazione ambientale, più che soddisfarlo per le dinamiche combattive, il titolo vive il suo picco durante le fasi di scoperta e di enigmi ambientali. Tra i diversi segreti sparsi in giro per le varie mappe si interpongono una serie di ricerche varie, anche casuali, e diversi enigmi. Al rischio vagabondaggio per l’ambiente di gioco, non enorme ma pieno di posti, si contrappone la possibilità di trovare o comprare le mappe che ci indichino la via.

Gli enigmi ambientali che vengono proposti spaziano tra il combinare ruote dentate e inserire le antiche reliquie nella modalità giusta. Passiamo dal trovare la strada corretta in una caverna al capire il giusto orientamento degli specchi. Insomma, le modalità sono tante e molto divertenti ma, soprattutto, dalle difficoltà variabili ma mai impossibili. (Suggerimento: portatevi dietro le ruote dentate di piccole dimensioni!).

Poc’anzi abbiamo fatto cenno alle ambientazioni. Proprio qui ci sarebbe bisogno di un piccolo commento: sono diverse e ben realizzate. Indiana passa dal Sudamerica all’Italia, per poi esplorare picchi innevati e la Shanghai bombardata dai Giapponesi. Ci ritroviamo catapultati in un cambio costante di località, che si fonde coerentemente con l’ispirazione del film: l’avventura. Templi immersi nella foresta, siti sotterranei egizi e segreti vaticani, creano un delizioso connubio di avventure. Le riproduzioni dettagliate degli ambienti, con finte scelte di direzione che rendono piuttosto lineare l’andamento, rendono l’esplorazione piacevole ed immersiva. Se non fosse abbastanza la prima persona per un’immersione pura, l’illuminazione delle pareti al buio attraverso l’accendino ci farebbe intravedere quel brivido di antico dagli spazi interni.

Una colonna sonora prestigiosa accompagna tutto ciò in maniera sinergica. Opera di Gordy Haab, tutto l’elemento musicale che accompagna le avventure è un perfetto mix di tradizionalità ed originalità. Senza tradire la natura implicita dell’opera, Haab riesce a immergere la propria trama sonora con quella di Indy e delle sue azioni. Travolgente nei momenti giusti ma elegante e azzeccato nelle scene cinematografiche, il comparto sonoro è uno dei più azzeccati del titolo.

Ma parliamo ora della trama. Ci troviamo, come di consueto, a fronteggiare i fascisti e i nazisti cercando di raggiungere il potere sopito dell’antico cerchio. È la natura stessa del titolo e della trama che ha determinato la necessità di proiettare il giocatore in diverse mappe. I diversi punti, che vanno a formare questa fantomatica linea unita sul globo, identificano siti archeologici di diversa natura. Proprio in questi siti sono stipate delle pietre magiche dai poteri incontrastabili, ai quali le forza nazi-fasciste aspirano. Proprio qui entra in gioco il nostro Indy, che -mosso da un’irruzione nella propria università- inizia ad indagare su una mummia di gatto trafugata.

Ed è da orache inizia un’avventura che potrebbe attestarsi tra le 45 e le 50 ore se comprendiamo le diverse missioni secondarie e qualche esplorazione randomica qua e là. In Vaticano, camuffati da preti, incontreremo Gina Lombardi in veste di suora. Nella realtà dei fatti, la nostra Alessandra Mastronardi era una giornalista alla ricerca della sorella scomparsa. Il nazista per eccellenza da combattere veste i panni dell’archeologo Emmerich Voss, personaggio finemente caratterizzato e strepitosamente interpretato. Un villain di spessore, fedele alla sua brama di potere e alla sua fedeltà ad Hitler, che riempie le scene in maniera convincente e con un’espressività penetrantemente nazista. Di più, meglio non dire, andatevelo a giocare per vivere tutto l’arco narrativo direttamente con i vostri occhi.

Da segnalare, ultima non per importanza, la quasi assenza di bug nella mia esperienza di gioco. Fattore che mi ha davvero aiutato a godermi l’esperienza, facendomi sorridere quel paio volte in cui Gina decideva di fluttuare (come in foto).

CONCLUSIONI: Rappresentazione videoludica, nostalgica e innovativa di Indy, in una nuova storia che cattura e appassiona. Il titolo non è perfetto, è chiaro, ma permette di raggiungere l'obiettivo che ogni gioco dovrebbe prefissarsi: immergersi totalmente nel mondo che stiamo provando.

VOTO FINALE: 9

  • Meravigliosamente Indiana Jones
  • Interpretazioni eccellenti
  • Colonna sonora toccante
  • Senso dell’eplorazione veramente denso
  • Immersione nel personaggio garantita
  • IA (del nemico e del compagno) stupida, a volte davvero troppo
  • Combattimento monotono
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