Nell’era di reboot e remake vari, reinventare Hellboy non appariva come una grande sorpresa. Anzi, a dirla tutta, tanti fan della saga del demone o amanti del cinema in generale avrebbero preferito un prodotto diverso, un’idea nuova. E invece, il nuovo lungometraggio di Hellboy è arrivato al cinema, pronto a stupire il pubblico in sala!
Mostri e umani possono convivere pacificamente insieme? In che misura un essere mostruoso può apparire umano agli occhi degli altri? David Harbour (l’acclamato Marshall di Stranger Things) ci propone una visione nuova di Hellboy. Un essere che “di certo non passa inosservato” per la città, che non si presenta come un eroe invincibile e infallibile (come nei precedenti film diretti da del Toro, anche se nei film precedenti incassa male e picchia forte, qui incassa bene e picchia da umano); piuttosto, si pone grande attenzione alla ricerca della sua identità. Una ricerca che trascende le sue origini, la sua nascita, ma piuttosto trovare un posto in un mondo in cui è costretto a cacciare i suoi simili, e dove lui stesso è considerato un’arma potente e una minaccia di cui non fidarsi troppo.
Nimue, la Regina di Sangue (o anche la Dama del Lago della storia di Re Artù) – interpretata da Milla Jokovich – cercherà di sfruttare il suo punto debole, e renderlo il Re degli Inferi, il demone che è destinato ad essere. L’interpretazione della Jokovich convince rispetto ad altri suoi lavori precedenti; nonostante ciò, considerato il suo essere la villain principale del film, viene trattata in maniera troppo frettolosa, senza lasciare troppo spazio a quelli che potevano essere i suoi reali poteri, mostrando delle motivazioni fin troppo simili al Rasputin del primo film.
La figura di Trevor, il padre di Hellboy, è totalmente diversa dal fumetto e dai film precedenti, mostrando un padre duro e dalla scorza impenetrabile, ma portato sullo schermo magistralmente da Ian MacShane, che grazie ad American Gods e John Wick, è tornato nuovamente alla ribalta.
I personaggi comprimari che affiancheranno Hellboy nel corso del film (Sasha Lane e Daniel Dae Kim) sono gestiti bene e molto interessanti, mentre il tono punk-rock dato al film strizzano l’occhio a un nuovo filone di film d’azione e cinecomics partito con Guardiani della Galassia ma senza cadere troppo nel genere d’azione-comico, in cui i combattimenti vengono resi indimenticabili e più d’impatto da una colonna sonora riconoscibile a tutti.
Considerato il tema del soprannaturale, il film è ovviamente ricchissimo di computer grafica e post-produzione. Il rischio di un orrore estetico era decisamente elevato, tuttavia le varie creature si inseriscono perfettamente nel contesto terrestre, rendendo la visione godibile – nonostante si possano notare in misura maggiore alcuni render in un paio di scene, ma è un dettaglio su cui, stavolta, possiamo soprassedere, forse, perché andando per paragoni, sono solo due le scene che fanno storcere il naso (Hellboy con la corona di fuoco, e la scena finale), mentre il resto riesce a tenere gli standard attuali (quindi, meglio della scena finale di quel combattimento con la grafica da ps3 di Black Panther).
Il film brilla principalmente sotto due aspetti: il citazionismo e l’ambientazione: Hellboy strizza l’occhio a tutto il fumetto, portando lo spettatore a credere ad una voglia di estendere e creare l’Hellboyverso, senza uscire troppo dai ranghi, e si vede davvero come Mignola sia stato parte attiva in questo film, in particolare verso ogni aspetto Lovecraftiano che esce sullo schermo.
L’ambientazione anche è gestita bene. Lontano dalle atmosfere fatate e gotiche di Del Toro, Marshall – che ama citarsi visto l’utilizzo di Re Artù, ci porta invece in un mondo reale e tangibile, molto più rock e vivo. Se Del Toro ci mostra un Hellboy che cammina nel mercato delle fate, e poi in città, Marshall, tramite un gioco astuto di flashback, ci mostra una moltitudine di ambientazioni, storie e personaggi, che non stonano mai, e si trovano a proprio agio nella struttura narrativa.