Capita, guardando certi film, di rimanere colpiti più dalle ambientazioni che dalla trama, quasi sia lo sfondo il vero protagonista della pellicola. Se ripenso al Dune (1984) di David Lynch la prima immagine che mi viene in mente è il desertico pianeta che da il nome all’intera saga di Herbert (perchè prima che film, Dune è uno stupendo romanzo), con le sue distese sabbiosa su cui i personaggi si muovono come comparse, senza riuscire a togliere il ruolo primario al dorato mare sabbioso.
Parlando di Dune è facile credere che tutti lo conoscano e sappiano di cosa tratti, ma un piccolo ripasso non può far male.
Siamo nell’anno 10.000 e l’umanità, ormai sparsa nel cosmo da innumerevoli generazioni, è comandata da un’aristocrazia chiamata Landsraad, composta da famiglie nobili che decidono la sorte di miliardi di individui; al vertice di questa piramide sociale siede l’imperatore Padishah Shaddam IV, della casata Corrino, che ha il potere quasi assoluto sul Landsraad e quindi sull’intera galassia. Lynch ci porta in un momento cruciale della storia galattica: la casata degli Atreides sta per lasciare il natio pianeta di Caladan alla volta del desertico Arrakis, noto come Dune. Questo passaggio di consegne tra gli Atreides e gli Harkonnen , nemici giurati, rappresenta un cambio nel controllo della più importante produzione di Arrakis, ovvero la spezia; questa droga ha impieghi in ogni aspetto della vita, dal suo prolungamento all’aumento della capacità intellettive, ma soprattuto viene usata dai Navigatori della Gilda Mercantile per poter viaggiare tra le immense vastità del cosmo quasi istantaneamente, annullando lo spazio e il tempo.
Ovviamente l’accesso, e il controllo, dei flussi di spezia coincide con un grande potere, e tutte le famiglie del Landsraat vorrebbero dominare Arrakis; gli Harkonnen non accetteranno di buon grado questo avvicendamento, e tenteranno in ogni modo di ostacolare gli odiati Atreides.
A grandi linee questo è lo scenario in cui si muoveranno i protagonisti di Dune, un palcoscenico in costante mutamento, fatto di tradimenti e segreti millenari, in cui nuove fazioni si insinueranno nel gioco delle case per poter raggiungere i propri fini. Nel film compaiono anche i Fremen, (gli abitanti autoctoni di Arrakis, decisi a difendere il proprio territorio, forti della loro spiritualità che li aiuta ad affrontare gli invasori), la Sorellanza Bene Gesserit (un ordine monastico femminile dotato di impressionanti poteri mentali, che da secoli controlla le linee genetiche delle casate per creare l’uomo perfetto) e i Mentat (umani che tramite l’assunzione della droga di Sappho hanno amplificato le proprie menti divenendo dei veri e propri computer).
Tutte queste diverse fazioni in gioco comportano una serie di piccoli inganni, sotterfugi e tradimenti che movimentano parecchio il ritmo del film.
Proprio questo aspetto tende ad essere un difetto del lavoro di Lynch; mentre nel libro il ritmo può essere diluito e le vicende spiegate con calma e particolari, nel film certe idee e spunti di Herbert vengono solo abbozzati o fatti passare come potenziali sensazioni dei personaggi. È un escamotage che può sia snellire la narrazione e dare un senso di maggior conoscenza dell’universo allo spettatore, ma in due o tre casi sembra quasi siano messi li casualmente, come un lavoro iniziato e poi dimenticato; lo spettatore rimane a volte confuso, quasi non capisca come gli eventi si siano susseguiti. Ovviamente non è un difetto imputabile solitamente alla regia di Lynch, questo problema di Dune (1984) affligge ogni film tratto da un’opera letteraria di ampio respiro. Questo ha portato Dune ad essere criticato per la mancanza dello spessore della sua controparte cartacea da parte dei fan di Herbert, specialmente per il taglio di alcuni personaggi fondamentali nella saga (come il conte Fenring, fondamentale per tutti i libri della saga) o il cambiamento di alcuni eventi, per renderli più appetibili agli spettatori.
Non crediate, però, che questo lato oscuro di Dune (1984) ne annulli la validità. Siamo di fronte a un vero colossal vecchio stampo, in cui le scenografie sono realizzate con una cura maniacale, in un periodo in cui l’uso del green-screen era ancora lontano.
In alcune scene (come nell’udienza nel palazzo imperiale fra l’imperatore e il Navigatore della Gilda) sono proprio le scenografie a dettare il tono della situazione,passando da strutture opulente della corte alle scarne ma funzionali grotte dei sietch dei Freemen. Di pari perizia sono anche i costumi, cuciti per rispecchiare appieno la personalità di chi li indossa (le divise imperiali hanno un austero tono prussiano) oppure la loro necessità per sopravvivere (le tute dei Freemen sono forse l’aspetto più fedele al libro).
In Dune in ogni scena, in ogni dialogo, in ogni inquadratura, si vede il tocco di David Lynch. Tutti gli aspetti sono curati con una maestria eccellente, l’occhio dello spettatore è accompagnato con delicatezza sui particolari essenziali, la sua attenzione è focalizzata con dialoghi precisi e realistici, raramente si ha l’impressione di ascoltare discorsi forzati o irreali; personalmente ho apprezzato molto la scelta di condividere i pensieri dei protagonisti, facendoci ascoltare cosa pensano e quando pensano, con degli intensi primi piani sugli attori, bravissimi nell’accompagnare questa scelta stilistica con espressioni facciali e mimiche speculari ai sentimenti espressi; il successo di questi scambi fra i personaggi è anche merito di un cast di doppiatori all’altezza, sempre precisi e con impostazioni vocali conformi sia al pathos delle scene che alle sensazioni che devono suscitare nello spettatore.
Il protagonista, Paul Atreides, ha il volto dell’allora sconosciuto Kyle McLachlan, un giovane già appassionato dell’opera di Herbert e che ha saputo rendere al meglio i turbamenti e l’ascesa al potere del giovane Muad’dib, tanto di diventare l’attore feticcio dello stesso Lynch (era l’investigatore dell’FBI Dale Cooper in Twin Peaks, la serie tv cult di Lynch). A contrapporsi all’eroico Paul ci ha provato il perfido e inquietante Feyd-Rauta, che ha avuto i lineamenti del frontman del gruppo inglese Police, poi divenuto più famoso con la sua carriera da solista, il buon vecchio Sting.
Vanno anche citate le ottime interpretazioni di Max von Sidow nel ruolo dell’ecologo imperiale Kynes, di Sean Young nel ruolo di Chani (un’altra grande interpretazione dopo l’ottima prova come Rachel in Blade Runner) e quella dell’attore shakesperiano Patrick Stewart come Gurney Halleck (e che ormai riconosciamo come il capitano Picard di Star Trek o lo Xavier degli X-men di Synger).
Anche nei ruoli minori sono stati scelti attori di alto livello, nel nostro paese spesso conosciuti per piccoli ruoli in serie minori, ma che hanno una carriera di tutto rispetto come caratteristi nel cinema d’oltreoceano, uno su tutti Dean Stockwell, il Dottor Yueh, da noi più noto come l’Al di Quantum Leap e come uno dei Cyloni più spietati nella nuova serie di Battlestar Galactica.
Gli effetti speciali sono stati realizzati al meglio dell’epoca (30 anni sono tanti in quel settore!); mentre sono ancora godibili le esplosioni, le scene di combattimento con gli scudi oggi fanno quasi sorridere nella loro ingenuità, ma nel 1984 erano all’avanguardia. Sono però la fotografia (opera di Freddie Francis,già responsabile della fotografia di The elephant man e negli seguenti di Glory, con cui vinse l’oscar) e gli immensi vermi delle sabbia (realizzati dall’orgoglio italiano Carlo Rambaldi, già papà dell’ET di Spielberg) a dare alla pellicola quel tocco di grande produzione hollywoodiano.
Menzione d’onore ai Toto e a Brian Eno per le musiche, vero e proprio asse portante di tutto il film, capaci di evocare atmosfere precise e azzeccate in ogni situazione, senza mai dare l’impressione di essere improvvisate, ma anzi curate in ogni singola nota per rispecchiare lo stato d’animo dei personaggi.
Essendo uscito trent’anni fa, Dune (1984) è solo reperibile nel circuito home video. Esistono varie versioni ed edizioni,sfortunatamente nessuna nel nuovo formato blu-ray.
Quello che posso consigliarvi è di recuperare, anche se difficile,la Dune Special Collection; in questo cofanetto troverete due versioni del film, quella cinematografica di Lynch, e quella “Extended Version” di un certo Allen Smithee, che arricchisce la precedente con una introduzione che accoglie lo spettatore con aneddoti e importanti cenni storici sull’universo di Dune, portando la durata del film dai 137 minuti a 176 minuti. In realtà siamo di fronte ad un montaggio alternativo, curato sempre dallo stesso Lyhc, che, una volta visto il lavoro definitivo, non rimase soddisfatto e decise di firmare questa edizione con lo pseudonimo di Smithee (usato da vari registi, sempre per il medesimo motivo); venne infine rilasciata una terza edizione, la “Alternative Version”, che contiene il prologo della “Extended Version”, rimaneggiato, e alcune scene significative che mancano dalle precedenti versioni, il tutto nuovamente firmato dallo stesso Lynch.