Il regno di Will Smith come re del box office si è chiaramente concluso pochi anni fa. Questo probabilmente significa che sono arrivati giorni di paga più piccoli e un po’ meno offerte, ma questo libera anche Will dal cinema blockbuster carico di Hype. Comunque venticinque anni di carriera rendono Will Smith una popolarità tale che per molti produttori vale molto a livello di riuscita al botteghino, un fatto confermato dai numeri forti messi in riga da Suicide Squad nonostante le tiepide recensioni. Ma invece di salvare il mondo dagli alieni o mutanti, Smith ora con film di medie dimensioni come Collateral Beauty, prova ad allungare i suoi muscoli creativi.
Commozione e dolore sono colori comuni nella tavolozza di questa sceneggiatura. Questo è cinema terapia, quando l’arte serve a catalizzare un evento per aiutare chi ne ha bisogno. Ci regala la possibilità di vivere indirettamente le esperienze attraverso i personaggi di fantasia sullo schermo, e ci fa sorridere quando si superano gli ostacoli regalando speranza.
In Collateral Beauty, Howard (Will Smith) è un guru della pubblicità che sta ancora cercando di riprendersi dopo due anni dalla morte improvvisa di sua figlia di sei anni. In questo periodo è diventato un eremita che cavalca furiosamente la sua bicicletta in mezzo al traffico per tentare la sorte, e si ritira nel suo appartamento, dove non ha telefono, internet o qualsiasi mezzo che possa portare il dolore fuori dalla sua mente. Rifugge i suoi vecchi amici e soci di minoranza, Whit (Edward Norton), Claire (Kate Winslet), e Simon (Michael Pena). Scrive lettere cariche di rabbia su concetti di morte, tempo, e Amore con cui fa notare il suo disappunto generale. La sua società sta per andare in bancarotta a causa del suo isolamento a meno che non accetti una proposta di vendita.. Howard si rifiuta di firmare, cosa che costringe il suo trio di amici di assumere tre attori di teatro per interpretare l’impersonificazione della “Morte” (Helen Mirren), del “Tempo” (Jacob Latimore), e dell’ “Amore” (Keria Knightley).
Avvicinandosi a lui con le sue lettere in mano, gli attori prendono Howard alla sprovvista e mettono in discussione la realtà e la sua sanità mentale. Le loro interazioni lo guidano anche ad affrontare i demoni che si trova ad affrontare, spingendolo a frequentare un gruppo di sostegno (gestito da Naomie Harris) per i genitori dei bambini morti.
LA COSA PIU’ IRRITANTE DI COLLATERAL BEAUTY È CHE IN REALTÀ HA IL POTENZIALE PER FUNZIONARE
Per cominciare, il soggetto è profondamente interessante. Guardando i personaggi far fronte alla perdita di una persona cara, soprattutto quando si tratta di un bambino, è un singolare promemoria per apprezzare le persone della tua vita. Ciascuno degli attori di questo forte gruppo assume questa responsabilità molto sul seriamente.
Il problema del regista Frankel (Hope Springs, Io & Marley) sta nel rifiuto di lasciare la sofferenza di Howard incanalarsi in una vera catarsi, invece soffoca questi momenti autentici in sotto trame melodrammatiche e colpi di scena che distraggono solo dal dramma centrale. Ci sono così tante sotto trame in Collateral Beauty che è difficile immaginare uno sceneggiatore, per non parlare del pubblico, riuscire a mantenere la rotta.
Prendiamo, per esempio, l’assurda trama principale che spinge questo bus dritto giù dalla scogliera. Ogni personaggio secondario ha un proprio dilemma personale che contribuisce ad alzare ulteriormente la posta emotiva. Whit (Norton) ha una figlia estraniata che non parla con lui, Claire (Winslet) passa le sue giornate a struggersi per il bambino non ha mai avuto e Simon (Peña) ha la sua propria battaglia familiare contro il cancro. Queste sotto trame legate ai personaggi secondari danno a Frankel e al suo sceneggiatore (Allan Loeb) ampie opportunità di fare grandi discorsi e la forza di estrarre qualche lacrima. Il risultato finale è un film che è così ossessionato da concatenare ‘momenti Oscar’ che diluisce tutto al punto di assurdità.
Questi attori meritano molto meglio. Smith riversa la sua anima in questo ruolo, solo per essere tradito da non uno, ma due colpi di scena a sorpresa che vi lasceranno con più bruciori di stomaco che angoscia. Mirren e Peña funzionano così bene insieme che si desidererebbe essere magicamente teletrasportati in un film diverso (e migliore).
Quasi tutto ciò che riguarda Collateral Beauty è prepotente. Da uno script intelligente che non può smettere di congratularsi da solo alla colonna sonora di Theodore Shapiro, Collateral Beauty semplicemente non si fida di formulare le proprie risposte emotive.