Alcuni sono solidi e si fanno archiviare docili nei loro cassetti, senza farci male. Altri somigliano più a un’alluvione, distruggono le porte che non riescono a superare. E noi dobbiamo prepararci nel modo migliore possibile, per non essere spazzati via.
“I morti non prendono l’ascensore” è la nuova opera dell’autrice Icaro Tuttle, pubblicata dalla casa editrice Becco Giallo in un corposo volume di ben 272 pagine. Il libro è frutto dell’elaborazione della tesi di laurea dell’autrice sul PTSD (sindrome di stress post-traumatico).
Come si gestiscono i propri ricordi? Soprattutto quelli che ci fanno più male, che ci appaiono più grandi di noi; in grado perfino di spazzarci via? Quanto può essere dolorosa e faticosa la realtà se si vive sopraffatti da questi ricordi? Sentirsi costantemente legati al passato a tal punto da non riuscire più a vivere con lucidità il presente. Sono questi i problemi con cui deve fare i conti la nostra protagonista, proprio per il suo non riuscire ad “archiviare” tutto ciò di così ingombrante che in passato l’ha ferita e che continua a farlo. Proprio come la bara di sua nonna, troppo grande per l’ascensore costretta così a diventare un peso per lunghi piani di scale.
La narrazione è scandita da pensieri, ricordi e quasi totalmente esente da dialoghi. Il tutto rappresentato da tre diversi punti di vista: quello della realtà, che percepiamo fredda e distaccata; quello dei ricordi, malinconici e dolorosi; e infine ciò che accade dentro di noi, una realtà distorta colma di pensieri. Lo stile di disegno dell’autrice riesce ad essere d’impatto e in grado di raccontare questa particolare storia. Dallo stile impreciso ma ben definito accompagnato da colori piatti ma accesi.
Forse non è un racconto per tutti, il tema trattato è delicato e impattante e necessita magari di una seconda lettura, come nel mio caso, per comprenderne meglio il significato. In definitiva “I morti non prendono l’ascensore” è sicuramente un prodotto riuscito in grado di far riflettere e scuotere il lettore, soprattutto chi, come l’autrice, ha avuto modo di interfacciarsi con il dolore raccontato.
Recensione scritta da Beatrice Moscato.