Stop Killing Games: Riflettiamoci un attimo

4 Ago 2025

Stop Killing Games: Riflettiamoci un attimo

Vorrei provare a parlare dell’ormai noto movimento Stop Killing Games, di cui sul sito abbiamo già dato notizia più volte. Non è un argomento in cui è difficile schierarsi, in quanto o la vivi come un consumatore o come un’azienda. Tuttavia, risulta difficile capire il concetto che muove le imprese a deliberare l’inutilizzabilità di un videogame anche se offline.

Proviamo a destrutturare insieme le motivazioni che portano il mondo aziendale videoludico a contrapporsi alla visione dei consumatori. Se analizziamo la mentalità dell’azienda, il target principale è il profitto. Gliene frega ben poco di farsi amici gli appassionati di un certo titolo, a meno che questo non sia sulla cresta dell’onda e li faccia monetizzare quanto più possibile. Ora, cosa c’entra il profitto con dei videogame che si trovano offline e a disposizione solo di chi li ha acquistati? Nulla. È proprio questo il motivo. Mantenere un videogame, pur se offline, non permette all’azienda di monetizzare ma, soprattutto, di controllare il prodotto. Logicamente, un titolo fuori dal controllo online è più facilmente moddabile e piratabile, portando al publisher una mancata entrata, seppur circoscritta al numero limitato dei giocatori. Quindi, forse sembrerebbe che la posizione delle aziende cerchi di tutelare quanto più possibile la loro IP – e i loro soldi.

E perché mettere l’immagine proprio di The Crew?

Ma allora, perché non fare questo gesto per i fan? Perché tutti coloro che il prodotto lo vogliono preservare non rappresentano sicuramente l’unica fazione in gioco presente. Il mondo di sotto, relativo alla pirateria dei videogames, rappresenta sicuramente una fetta di chi si batte con Stop Killing Games. E questo potrebbe – anzi lo è – un fattore che l’azienda tiene in considerazione e può usare come spada di Damocle.

Se poi vogliamo provare a vedere altre carte sul tavolo, potremmo pensare a come un titolo passato ma di qualità eccelsa possa essere un’eclisse per i titoli successivi. Potrebbe essere anche questo un fattore. La paura che giochi imponenti possano oscurare gli eredi (facendo quindi perdere immagine e, soprattutto, soldi). Sostanzialmente, ogni strada porta al dio Soldo e agli introiti.

Da appassionato del mondo tecnologico, devo ammettere che, in questo caso, la tecnologia ha peggiorato la situazione per chi ama questo universo. Affittare un titolo, perché questo facciamo – ed è anche per questo che il movimento Stop Killing Games combatte – è assai più remunerativo. Inoltre, permette di avere il controllo totale e costante del prodotto, fattore da non sottovalutare in un mondo di analisi dei risultati come il nostro.

Paradossalmente, i giochi del 2025 spariranno prima di quelli del 97. La differenza principale è che 20 anni fa quello che pagavamo possedevamo. Oggi, quello che paghi – e manco poco – è sostanzialmente in affitto. Parliamo di un furto artistico e di privazione culturale a quella generazione che è cresciuta a pane e console. È patrimonio. Immaginate un Red Dead Redemption 2 – che porto come esempio poiché lo adoro – che chiude improvvisamente. Dopo che lo avete pagato, al tempo, 70€. Dopo che ci avete passato 300-400 ore, tra passeggiate e sparatorie. Ed ecco che in un attimo il lavoro di decine o centinaia di persone cancellato. In un attimo, la passione di migliaia di persone rimossa.

Ognuno ha i suoi motivi per far valere la propria idea, azienda e utente. Tuttavia, quando il mero consumismo – e non il profitto necessario – guida le scelte in un mondo artistico, ci troviamo di fronte ad un cannibalismo industriale. Ad una famelica brama del nuovo, dello scontato e dell’acquistabile, scordandoci di quel capolavoro che ci ha commossi o rapiti.

Spero che dopo questa piccola osservazione ambo i lati, la situazione e le potenziali motivazione che spingono entrambe le fazioni siano un po’ più chiare. Fatto sta che il movimento, al momento della scrittura dell’articolo, ha raggiunto 1.400.000 e rotti firme, ben oltre la soglia minima necessaria. Magari riusciamo a farci sentire.


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