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MA GLI ANDROIDI SOGNANO PECORE ELETTRICHE?
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Per gli appassionati di fantascienza sentire parlare di Blade Runner è come essere portati a trovare un vecchio amico, di quelli che vedi sempre volentieri e di cui puoi sentire la mancanza ogni tanto.
Quante persone potrebbero fare altrettanto se parlassimo del libro Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, conosciuto anche come Cacciatore di androidi? Eppure stiamo parlando dello stesso tema, o quasi; il capolavoro cinematografico è stato tratto, con molta libertà, da questo libro di un genio della letteratura fantascientifica americana, Philip K. Dick, che ha fornito una gran quantità di idee e racconti al mondo cinematografico (Minority Report, A scanner darkly, Paycheck, Scream tra gli altri).
Dick è stato uno dei massimi esponenti della fantascienza distopica, quella sci-fi che ci offre un mondo diverso dal nostro, molto più cupo e animato da una società fittizia, dove le tecnologie e le politiche sociali attuali vengono spesso estremizzate con esiti negativi. L’opera di Dick è pesantemente influenzata da questo ideale, forse come specchio della tormentata vita privata dell’autore stesso; in questa sede non analizziamo tutta l’immensa produzione dell’autore americano, ma ci concentreremo proprio su Ma gli androidi sognano pecore elettriche?.
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QUANDO UN LIBRO ISPIRA UN FILM DI SUCCESSO SPESSO FINISCE PER VENIRE ECLISSATO, E DICK SEMBRA CONDANNATO A QUESTO DESTINO
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L’anno è il 1992, e San Francisco è una delle poche città ancora popolate sulla Terra; gran parte della popolazione mondiale è migrata verso le colonie extramondo, per scampare al degrado del pianeta in seguito a un devastante conflitto nucleare. Il protagonista, Rick Deckard, vive a San Francisco con la moglie, Iran, e per sopravvivere fa il cacciatore di androidi; in questo mondo futuro non solo gli umani calcano le rovine della Terra, ma anche esseri artificiali identici agli umani, ma afflitti da una breve vita.
La storia inizia con l’arrivo di sei nuovi androidi di classe Nexus-6, talmente identici agli umani da risultare indistinguibili; a capo dei cacciatori della California c’è David Holden, il governatore ipso facto dello stato, che si mette subito a caccia degli androidi fuggitivi, riuscendo a ucciderne due su otto prima di venire ferito gravemente e ricoverato in ospedale. Saputo dell’accaduto, Deckard decide di ricercare i restanti sei androidi per intascare la taglia e donare alla moglie, depressa per il non avere un animale domestico autentico, una pecora vera al posto del loro ovino robotico malfunzionante. Da questa sua decisione, Deckard dovrà affrontare sfide sempre più ardue, incontrando personaggi che metteranno in crisi le sue convinzioni e lo porteranno a rimettere in discussione la propria vita.
[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”Philip K. Dick, l’autore visionario di questo capolavoro” font_container=”tag:p|font_size:14|text_align:center|color:%23dd3333″ google_fonts=”font_family:Roboto%20Slab%3A100%2C300%2Cregular%2C700|font_style:400%20regular%3A400%3Anormal”][vc_single_image image=”13142″ img_size=”large” alignment=”center”][vc_column_text]
Trattandosi di un libro di Dick la storia è arricchita da parecchie tematiche che servono a dare profondità psicologica ai personaggi e una maggiore identità alla San Francisco futuristica.
Ci troviamo di fronte a un mondo in cui chi ha scelto di restare sulla Terra devastata da inquinamento e radiazioni residue del conflitto lo ha fatto più per necessità che per volontà, affrontando un progressivo proliferare di malattie e spesso un decadimento delle facoltà mentali; questo disagio sociale viene impersonato principalmente dalla moglie del protagonista, ormai talmente in preda alla depressione da vivere praticamente sotto costante controllo del modulatore di umore Penfield, una sorta di dispensatore di droghe che aiuta le persone ad affrontare il grigiore quotidiano. È come se improvvisamente gli umani, per non soccombere alla disperazione, decidano di diventare più simili agli androidi di cui tanto hanno paura, al punto che spesso Deckard si chiede cosa differenzi la moglie da un androide; a dar maggior peso a questo suo crescente dubbio avverrà l’incontro con un’androide donna che farà breccia nel suo cuore, facendo vacillare le sue convinzioni e portando Deckard ad analizzare la propria vita in tutti i suoi aspetti.
Tutto nel libro è un grido di allarme, un avviso di come l’umanità stia andando verso un progressivo declino (Dick scrive questo libro nel 1968, in piena Guerra Fredda), in cui nulla potrà più dare un senso alla vita quotidiana, tanto che la sola possibilità di poter trovare un nuovo modo di vivere è ricominciare da zero, magari in una colonia extramondo. Anche il possesso di un animale è ormai diventato fonte di invidie e gelosie, visto la rarità di bestie sopravvissute al disastro nucleare; chi possiede una replica, un animale elettrico, vive nel costante panico che i vicini scoprano l’inganno, che possano giudicarlo membro di una casta inferiore, una persona da evitare.
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VEDERE UN’UMANITA’ DECADENTE, SCHIAVA DELLA PROPRIA INERZIA MORALE E SOCIALE È ANGOSCIANTE, SPINGE IL LETTORE A INTERROGARSI SU QUANTO LA REALTÀ SIA LONTANA DAL FUTURO CUPO DI DICK
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Nonostante Ma gli androidi sognano pecore elettriche non sia considerato una delle opere principali di Dick, in questo libro sono presenti tutte le tracce stilistiche di un autore che ha infuso in ogni suo lavoro: temi a lui cari come il degrado sociale, l’abuso di droghe e il progressivo declino dell’umanità. Leggendo le avventure di Deckard, lo spirito fantascientifico viene sovente messo in secondo piano dall’animo tormentato dei personaggi, dalle loro continue fobie e battaglie per il vivere quotidiano; non è un libro leggero, è profondo, a volte pesante nel suo indugiare nelle profondità oscure dell’animo umano, ma è comunque uno spaccato di umanità non troppo distante da quella attuale, in cui è facile leggere i difetti e molti aspetti della nostra stessa società.
Anche lo stile di Dick riflette questo suo universo interiore cupo. Difficilmente troveremo descrizioni che ricorrano a metafore gradevoli e positive, Dick vuole che il suo lettore sia inquietato da ciò che legge, si senta preso emotivamente dalle vicende di Deckard e, per assurdo, parteggi per gli androidi, i presunti cattivi della storia; seguendo Deckard nelle sue indagini è impossibile non iniziare a interrogarsi su quale personaggio rappresenti l’umanità più autentica, se gli androidi preoccupati per la propria sorte, spaventati dalla morte (e cosa c’è di più umano?), o gli umani che invece tendono a perdere la propria anima imbottendosi di medicinali e riducendo tutto a un surrogato meccanico, perfino il proprio animale domestico.
Per assurdo questo libro ha raggiunto la notorietà quando Scott lo trasformò nel manifesto fantascientifico di Blade Runner, dandogli una nuova chiave di lettura, privandolo di molti dei suoi aspetti principali, rendendolo un racconto completamente nuovo e con pochissimo del libro originale. Vedere il film non può in alcun modo sostituire la lettura di questa pietra miliare, che andrebbe letta e scoperta in ogni suo aspetto.
Se ancora non avete avuto modo di recuperare questo titolo, spesso ristampato come Il cacciatore di androidi, vi consiglio di recuperarlo, accompagnandolo da altri lavori di Dick, magari le recenti raccolte di racconti.
Spegnete televisioni e telefoni, mettetevi comodi e fate un viaggio nella San Francisco del 1992, Deckard vi aspetta.
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- USCITA: Anno 1971
- GENERE: Fantascienza
- AUTORI: Philip K Dick
- EDITORE ITALIANO: Fanucci
- TRADUZIONE: R. Duranti
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