Come ogni mese rieccoci sulle pagine di Dylan Dog.
Dopo aver affrontato l’uomo dei tuoi sogni nell’albo precedente, Dylan Dog questa volta sarà alle prese con un qualcosa che è molto più di un caso da risolvere, ma un terribile orrore quotidiano.
Paragonare questo albo con Tempi Moderni di Charlie Chaplin è automatico. Già in quel periodo, stiamo parlando del 1936, attraverso quel capolavoro si denunciavano i problemi di un lavoro avvilente e ripetitivo sullo stato d’animo e fisico dell’essere umano. In questo albo Dylan Dog è risucchiato all’interno di un ingranaggio simile, con conseguenze devastanti.
Affrontare questa lettura è stato davvero interessante, alcune volte mi sono immedesimato nei personaggi riflettendo su alcuni aspetti della mia vita e di come la società moderna dettata dal consumismo, ci stia guidando verso la direzione sbagliata.
In questo numero infatti non saranno i mostri a mettere paura ma una realtà alienante, scandita da orari, cartellini da timbrare, colleghi diabolici, superiori inflessibili e scadenze da rispettare.
La macchina umana è una critica alla deriva di questa società contemporanea dove ci sentiamo spinti a desiderare oggetti superflui, indebitandoci in infinite rate da pagare con la conseguenza di restare imprigionati in lavori che risucchiano il nostro tempo, trovandoci alla fine del percorso vecchi e senza più stimoli per andare avanti.
Alessandro Bilotta è riuscito a scrivere una storia molto particolare inserendo anche tratti filosofici utilizzando Groucho come megafono, mentre troviamo Dylan Dog nei panni di un impiegato all’interno della multinazionale DayDream di proprietà di John Ghost. Tutto molto strano, Dylan a compilare moduli? Come mai? Senza cadere nello spoiler lascio alla vostra lettura la risposta a questa domanda.
Dylan Dog vive in una sorta di torpore, una vita guidata da incombenze, una nebbia che solo l’incontro con la bella Kalyn è riuscito a dipanare. Anche Kalyn lavora per conto della DayDream, una dipendente con gli stessi problemi di Dylan e di tutti gli altri, imprigionata all’interno di questa pressa schiaccia esistenze, ma a differenza loro, con una visione lucida verso quello che le sta attorno e una soluzione d’evasione da questo incubo.
Diciamo da subito che non c’è azione in questo albo, anzi l’azione ci sarebbe anche stata a dire il vero ma viene stoppata dall’autorità. Un contratto firmato che ferma un uomo armato di pistola o una ribellione di alcuni dipendenti di un ufficio calmierata da glaciali superiori. Ed è con queste “non azioni” che Bilotta ha lavorato molto bene, tratteggiando uno spaccato di realtà, dove alle volte vorresti ribellarti ad un sistema che ti opprime ma risulta inutile in quanto legato a doveri da assolvere per salvaguardare te e la tua famiglia.
I disegni di Fabrizio De Tommaso sono davvero perfetti per raccontare questa storia. Il suo stile graffiato delinea perfettamente i volti di persone senza più desideri. Le figure imperturbabili dei capireparto, alti, e con pettinature impeccabili, che si stagliano sul dipendente raffigurato come un goffo essere umano. È la metafora visiva di come la società ci vuole tenere sotto ed usarci come manodopera sostituibile di scarso valore. La rappresentazione degli ambienti all’interno degli uffici della DayDream disegnati da Fabrizio De Tommaso ci hanno portato a vivere una vita da ufficio asettica simile a quella vista nel primo episodio di Matrix, scrivanie sequenziali e teste chine sopraffatte da incombenti doveri.
Anche la copertina di Angelo Stano ci da una visione mostruosa di questo ufficio con pareti che disegnano un grigio e articolato labirinto disseminato di mostri di natura kafkiana, mentre Dylan Dog in camicia rossa spicca al centro in cerca di una via d’uscita che forse non troverà mai.