Arriva nelle sale, dal 1° febbraio, Te l’avevo detto, secondo lungometraggio di Ginevra Elkann.
Il film, girato nel 2023, e distribuito da Fandango, era stato presentato lo scorso anno al Toronto Film Festival e al Rome Film Fest.
In scena drammi personali e intimi in una Roma contemporanea.
Veniamo invitati a seguire le vicissitudini di tanti personaggi, apparentemente sconnesse tra loro.
Faremo la conoscenza di Pupa (Valeria Golino), ex pornodiva ormai in declino che tenta, a colpi di botulino e video sui social, di restare nella mente della gente.
Poi, ancora, Gianna (Valeria Bruni Tedeschi), donna nervosa e imprevedibile, con una vera ossessione per la suddetta diva. Di lei prova a occuparsi la figlia Mila (Sofia Panizzi), che sebbene dedita all’amorevole accudimento di una anziana signora benestante (Marisa Borini), non riesce a ottenere gli stessi esiti con la troppo instabile madre. Soffre a tal punto la relazione con la stessa da sfociare in incontrollabile bulimia.
Altra figura è quella di Bill (Danny Huston), prete italoamericano con trascorsi di tossicodipendenza. Lo vediamo interagire con la sorella Frances (Greta Scacchi), venuta dal Connecticut con l’urna cineraria della defunta madre.
Infine Caterina (Alba Rohrwacher), alcolista: a causa di ciò, il marito (Riccardo Scamarcio) la ha allontanata da casa e dal figlio Max, di cui vorrebbe prendersi cura.
Tre spaccati assai diversi, ma accomunati tutti dalle complicatezze di relazioni madre-figlio non sempre paradisiache.
E a fare da contorno a tutto ciò un’ondata di caldo anomala, fuori stagione, e un esodo di massa verso luoghi più vivibili, i laghi. La Città Eterna va svuotandosi lasciando spazio ad ambienti desolati, surreali, in cui i nostri protagonisti agiranno e interagiranno tra loro.
Peculiare la fotografia, diretta da Vladan Radovic: riesce a rendere percepibile la calura, che in un inevitabile crescendo sarà sempre più presente nei 100 minuti di pellicola. Le scene sono polverose, come se tutto fosse avvolto dalla nebbia; i cieli giallo ocra, quasi sgraziati, apocalittici. Giochi di luce che accentuano il senso di irrespirabilità, di mancanza d’aria, malessere fisico e mentale.
Te l’avevo detto è un’opera senz’altro particolare, a tratti grottesca. Le vicende narrate, tolta forse quella di Pupa, personaggio fuori dagli schemi se non altro per la professione, sono incredibilmente tangibili. Disordini alimentari, dipendenze da alcol e droghe, relazioni tossiche, stalking, morbosità affettiva. Al pubblico il compito di metabolizzare quanto visto e trarne i propri giudizi. Un film, in definitiva, di non facile digestione, ma sicuramente avente il pregio di lasciare spunti di riflessione allo spettatore.