Se si parla di viaggi spaziali, non si può far a meno di pensare a film come 2001: Odissea nello spazio, Interstellar, The Martian e a giochi come Mass Effect, No Man Sky. Dal 6 settembre, per chi l’ha acquistato, e da prima, per chi l’ha potuto recensire, anche Starfield entra, meritatamente, nell’elenco di titoli da ricordare. Tanto per la sua vastità, quanto per la sua completezza, il gioco di Bethesda rappresenta il connubio di tanti elementi contrastanti ma complementari tra loro. Premettendo la mia personale passione per lo spazio – il sangue versato in Ingegneria Spaziale ed Astronautica ne è testimone – posso dire di aver atteso in trepidante l’epifania del nuovo universo di bethesdiana fattura, senza dimenticarmi, almeno ci ho provato, l’oggettiva interpretazione degli elementi da recensire. Partiremo gradualmente, da un’analisi della storia – priva quindi di spoiler – ad un’analisi tecnica del gioco.
Di che parla Starfield?
Iniziamo nelle vesti di un minatore sul pianeta Vectera che, come possiamo vedere dai primi minuti di gioco, sarà teatro delle prime presentazioni tra personaggi e fazioni. Iniziamo con la supervisora Lin ed Heller, che poi potranno diventare membri del nostro equipaggio, i quali ci accompagneranno in questo primo scavo che ci farà fare conoscenza, fin da subito, con i Manufatti. Antiche parti di una composizione misteriosa che, più in là, verrà lentamente rivelata, portando allo scoperto altre fazioni, altri personaggi e tantissime altre storie. Partiamo dal fatto che la storia, nel mio caso è stata fatta prioritariamente per effettuare la recensione della stessa, dividendo poi l’analisi tecnica e di design in compartimenti. La storia, di una ventina abbondante di ore in relax, ci porta attraverso tanti sistemi, tanti pianeti e qualche città. Verremo introdotti a Costellation, un’organizzazione non militare ma con armi e mezzi a disposizione, che vuole scoprire tutto lo scibile in merito a tali manufatti, andandoli a cercare in giro per l’universo. In questo gruppo verremo a conoscere Barret, presentatosi – fin da subito – proprio su Vectera e l’unico del gruppo ad aver toccato l’oggetto misterioso. Si, l’interazione tra noi e il manufatto ci provoca, ogni volta al primo contatto, una visione sempre più lunga, sempre più dettagliata, quasi di Interstelliana fattura. Verremo coinvolti in questa ricerca scientifico-esplorativa, in questo viaggio omerico che ci porterà a prendere delle scelte, più o meno apprezzate e apprezzabili, con colpi di scena che innalzano il livello della trama, già di per sé consistente. La trama principale viene circondata da molte, davvero molte, missioni secondarie, attività esplorative, attività di costruzione e gestione dell’avamposto, fabbricazione di miglioramenti e romance, non troppo romance. Tutti fattori che non fanno altro che aumentare il numero di ore complessive senza però abbassare la qualità. L’ovvio rischio è quello della ripetitività e della lunghezza, tanto nelle tempistiche quanto nelle distanze – a volte eccessive – da coprire. Per questa sezione della recensione ci fermiamo per non spoilerare nulla nel dettaglio; è un gioco che merita di essere giocato nella sua totalità, dal filone principale alle tante missioni secondarie.
Il Creation Engine
Il gioco risente dell’origine bethesdiana, dal motore grafico in primis – Creation Engine – che nonostante le tante limitazioni che presenta, riesce a supportare un universo di gioco vasto, dai confini ampissimi e dalla solidità piuttosto elevata. Pochi i bug, se li pensiamo nella dimensione complessiva del titolo, soprattutto nelle prime ore di gioco. Per lo meno nella mia esperienza, nella prima dozzina di ore, un solo bug; solo con il passare del tempo c’è stato un aumentare degli episodi, a volte molto simpatici, altre davvero molto snervanti. Una delle guardie della sicurezza di Neon si è magicamente trasportata dentro la Frontier e non ne ha voluto sapere di uscire. Bug che, ahimè, rovinava l’immersione nel momento in cui dovevo mettermi alla guida dell’astronave, essendosi , l’NPC, posizionata proprio davanti al sedile. In secundis, sempre per i limiti del motore, le espressioni facciali, per quanto migliori di tanti altri titoli bethesdianj, sembrano spesso e volentieri fredde, meccaniche ed impersonali. Tuttavia, tale elemento non grava eccessivamente, a livello narrativo, sull’esperienza di gioco, in quanto la storia riesce ad immergere e a far affezionare il giocatore ai personaggi. Ognuno degli NPC ha una sua storia, un suo modo di reagire alle nostre azioni e alle nostre parole – anche se il protagonista non ne spiccica una – fornendo costantemente un feedback sulle nostre scelte. Le missioni che li riguardano non sono banali, non sono brevi e superficiali, almeno quelle che ho fatto. Questa peculiarità del titolo, che vede la più grande quantità di linee di dialogo per un gioco Bethesda, ci porta a spendere tantissime ore a vagare, perdendo – personalmente spesso – il focus della quest principale. Un pianeta di là, l’avamposto di quà, una stazione spaziale abbandonata lassù e un ricercato interstellare laggiù. Insomma, chi più ne ha più ne metta.
I pianeti
“ O mio Dio, abbiamo 999 pianeti, esplorabili, pieni di cose da fare, realistici”. Quasi. Dal punto di vista del realismo la questione può reggere; tantissimi pianeti quasi vuoti, dove proceduralmente vengono piazzate strutture, elementi naturali – che siano faunistici o floristici – e astronavi che atterrano vicino alla nostra posizione. Obiettivamente, il numero di pianeti rocciosi con fauna e flora rappresenta – almeno statisticamente – una percentuale piccolissima dei pianeti che l’universo ci regala. La luminosità dei corpi rocciosi, inoltre, è stata approfondita a tal punto da risultare diversa in base alla stella, così come diverso risulta lo sviluppo del pianeta su cui atterriamo. Su cui atterriamo. Si, quasi. In questo contesto il team di sviluppo ha giustamente deciso di far atterrare automaticamente la Frontier, o chi che sia, sul pianeta, lasciando però la libertà al giocatore di scegliere dove. Arrivati giù, veniamo immersi in una mappa che viene generata – fatta eccezione per le principali città o mappe legate alle missioni principali – proceduralmente intorno a noi. Tutto questo, ad un ingegnere spaziale, fomenta, e fomenta tanto. Obiettivamente, ho trovato soddisfacente lo stile di gioco da ruolo, immischiato in un realismo NASA-punk davvero azzeccato. Proprio l’ESA ha espresso parole di apprezzamento nei riguardi del titolo, definendolo ambizioso per gli umani, ma non impossibile.
Combattimenti
Andiamo ad analizzare gli scontri, terrestri prima, spaziali poi. Quelli terrestri, possibili sia in prima che in terza persona, ci permettono di far valere l’armamentario e l’equipaggiamento che abbiamo raccolto. Da armi potenti, ad armi utili, da tute che ci permettono di diventare invisibili a poncho che ci renderebbero visibili ad anni luce di distanza. Il feedback dell’arma risulta gradevole e l’interazione dell’avversario plausibile (se trascuriamo il fatto che una tuta spaziale colpita da un proiettile in un pianeta non abitabile dovrebbe essere un danno catastrofico). Il jetpack risulta utile e comodo, soprattutto in quei pianeti a bassa gravità, tanto nei combattimenti quanto in quelle lunghe ed i terminabili corse da un punto ad un altro che risulterebbero, altrimenti, monotone e pesanti. Corse che, a detta di Bethesda, rendono più realistico ed immersivo e il titolo. Qui tendo a dissentire. Se consideriamo che nelle missioni lunari – per la prima volta con l’Apollo 15 nel 1971 – venne utilizzato l’LRV (Luanr Roving Vehicle), progettato per funzionare con la gravità lunare, mi sembra poco plausibile l’assenza totale di veicoli di superficie utilizzabili negli anni del 2300, dove l’uomo ha colonizzato mezza galassia, e dove esistono robot altamente avanzati in grado di combattere. Mamma Bethesda, per favore, fai prima a dire che non ce la facevi o che veniva una c…osa poco piacevole. Vogliamo davvero continuare a cercare i peli nell’uovo? Si dai, almeno un ultimo, per adesso.
Passiamo alle battaglie spaziali. Divertenti tanto nella dinamica, in prima e in terza persona, quanto nella gestione dei sistemi dell’astronave. Ci troviamo, infatti, a dover gestire l’energia delle diverse componenti presenti, dallo scudo, alle armi balistiche e laser, ai motori e al gravimotore, necessario per saltare da un sistema ad un altro. Attraverso le frecce direzionali, dovremo giocare con i livelli di energia che faremo confluire in un determinato sistema, il quale – in base alla tipologia – ne potrà accogliere più o meno quantità. Solitamente, ci troviamo ad affrontare Pirati, Spazianti, Astrali e Fanatici e tendenzialmente riusciamo a distruggerli. Bene. Peccato che un’astronave distrutta in orbita provoca la generazione di centinaia di detriti, se non migliaia. Detriti che si collocherebbero nell’orbita per secoli, andando a ricoprire per intero il pianeta (fatto che potrà più o meno variare in base alla presenza di altri corpi celesti, alla vicinanza della stella e alle dimensioni del pianeta stesso). Nel titolo, invece andiamo ad assistere ad una sparizione, mistica, dei detriti. Si, lo so, sono andato a rompere davvero le palle su un fatto di cui non frega nulla a nessuno, su un elemento del gioco che non implica alcun grido di sconforto, ma che, in una critica da chi ha studiando nel dettaglio la questione, è giusto riportarlo come divulgazione scientifico-ludica.
Manovalanza
Sia terrestre che spaziale risulta essere di grande interesse la costruzione di avamposti e astronavi. Per i primi possiamo costruire vere e proprie cittadine che possono fare scambi, raccogliere risorse, proteggerle e che possiamo addobbare a nostro piacere. Si necessitano, come in ogni buon gioco di ruolo, abilità – sbloccabili attraverso un albero abbastanza denso ogni qual volta saliamo di livello – per costruire determinati elementi e risorse, spesso presenti su altri pianeti. Proprio qui andiamo a soffrire ancora la ripetitività del titolo, che mostra il lato scoperto sempre su questo stesso argomento. Diversa, invece, la costruzione dell’astronave. Modulabile, migliorabile e totalmente personalizzabile, la Frontier può essere totalmente rivoluzionata, passando da una piccolina del cielo ad un mostro dell’oceano nero. Attenti che se superate gli 80 metri di lunghezza non potete atterrare. L’attività di mastro costruttore navale è un’attività che leva molto tempo ma che è davvero divertente e soddisfacente, soprattutto quando non ti dimentichi, dopo un’ora di pensieri su come farla, di leggere i messaggi di errore, che ti fanno capire che ti devi, lentamente, inesorabilmente e definitivamente attaccare al c…..ontroller.
Caricamenti
Elemento che mi ha sorpreso in negativo è il tempo medio di caricamento del titolo, superiore alla media del parco videoludico xboxiano. Non parliamo di tempi biblici, assolutamente, ma pensavo in tutta onestà di trovare un titolo talmente ottimizzato che i caricamenti sarebbero stati una questione banale.
Finale
Complessivamente, possiamo affermare senza ombra di dubbio che il titolo in esclusiva per Xbox, prodotto da Bethesda e messo al day one su Game Pass, è da provare. Deve essere giocato perché è cultura videoludica, che possa piacere o meno, che possa convincere scientificamente o meno. È un’epopea omerico-interstellare, in cui il giocatore può immergersi e godere di una storia solida, ben costruita, non banale ma che, scoprendosi, ci porta lentamente ad immaginare la direzione che stiamo prendendo. Un film di ruolo che merita di essere provato.
Se volete vedere i primi minuti di gioco, andate sul canale Youtube al seguente link.