Dopo quasi vent’anni di storie e battaglie giunge al termine l’epopea di Wolverine, almeno quello legato al viso di Hugh Jackman. Logan – The Wolverine è un capitolo finale azzeccato, con un distacco piuttosto marcato non solo dalle pellicole corali degli X-Men, ma anche dalle avventure soliste di Wolverine; per gli appassionati dell’artigliato canadese versione fumetto, la storia a cui si riferisce non è solo Old man Logan, ma anche La morte di Wolverine, da cui trae parecchi spunti rimaneggiati con perizia dal team di sceneggiatori (Michael Green, Scott Frank, James Mangold). Ultimo capitolo, dicevamo, l’ultima avventura di un eroe che ha smesso di sentirsi tale da diversi anni, che ritroviamo fin dalla prima scena in una versione che sembra demolire l’immagine che ci si è stata proposta per tutti questi anni.
SCONFITTO, RASSEGNATO, LOGAN TORNA PER ANCORA UNA VOLTA A SGUAINARE GLI ARTIGLI
Logan ora usa il suo vero nome, James Howlett, si guadagna da vivere come autista e accudisce il suo vecchio mentore, Charles Xavier, aiutato da un altro mutante, Calibano, uno dei pochi rimasti al mondo. Finché nelle loro vite non entrano una donna misteriosa, seguita da una ragazzina con qualche segreto che la lega al nostro Wolverine, ovviamente al centro di una situazione spinosa che solo il vecchio Logan può risolvere.
Il tema portante di questo film è la fine del sogno, la dura realtà che si è abbattuta sui due punti chiave del mito mutante. Xavier ha sempre sognato l’integrazione tra umano e mutanti, ha combattuto anche contro i proprio simili, ma alla fine ha visto tutta la sua fatica demolita, con la sparizione dei mutanti, perdendo la propria sanità mentale. Considerando che parliamo del più potente telepate della Terra, vedere come la sua mente si sia rivoltata contro di lui è triste, quasi ingiusto. Logan – The Wolverine ha un tono totalmente diverso da quanto visto finora, un cambio radicale che potrebbe spiazzare chi si aspetta un cinecomic in linea con quanto visto ad oggi; c’è l’azione, ma la maggior parte della pellicola è una costruzione psicologica dei personaggi, una serie di emozioni, rimpianti, delusioni e senso di sconfitta che si accompagna al concetto di road movie, con un viaggio verso la salvezza, quella del futuro rappresentato dalla piccola Laura.
In tutto questo, l’attenzione è focalizzata su Wolverine. Hugh Jackman non mi ha mai completamente convinto come Logan, non trasmettendomi quel senso di dolore che si accompagna da sempre al canadese nella versione a fumetti; curiosamente, in questa ultima interpretazione mi stupisce con una recitazione che trasmette in pieno il vissuto duro e difficile di Wolverine, il senso di ineluttabile dolore che lo accompagna da sempre. In questo, Jackman è stato perfetto, dalle espressioni alla mimica del corpo, rendendo il personaggio inossidabile per eccellenza una sorte di relitto umano, colui che è “il migliore in quello che faccio, anche se quello che faccio non è piacevole” trasformato in uno sconfitto. Siamo di fronte a un Wolverine incredibilmente umano, che ha gettato la spugna, ma che alla fine decide di reagire e seguire la propria natura, a prescindere dai costi.
Il film di Mangold ha una doppia natura. Nonostante il ritmo abbia ben poco dell’action movie, preferendo concentrarsi sulla costruzione psicologica dei personaggi, nella prima parte lo spettatore viene coinvolto con la dinamica quasi familiare del triangolo Wolverine-Xavier-Laura, con qualche momento leggero (grazie a uno Stewart particolarmente ispirato) e una perfetta costruzione della storia, creando un crescendo emotivo che coinvolge e appassiona. La seconda metà del film, invece, lentamente perde di tono, specialmente nel finale, in cui si cerca di spiegare uno degli elementi chiave (la scomparsa dei mutanti) in modo troppo sbrigativo, anche se gli attimi finali riescono a rimettere tutto in bolla grazie a due scene che sono un colpo emotivo, un tocco da maestro del regista. Per tutta la vita, Logan ha combattuto con la sua solitudine, faticando a sentirsi parte di una famiglia come quella degli X-Men, ma proprio all’ultimo questa sua fatica viene riconosciuta con un gesto poetico
Bilanciando pregi e difetti, Logan – The Wolverine è un film che si inserisce bene nel mito del mondo mutante, con una visione di Wolverine che assomiglia a tutt’altra tipologia di cinema, molto introspettiva, triste, con l’eroe sconfitto e umano che torna a essere per un’ultima volta il suo vecchio sé, l’ultima cavalcata del cavaliere solitario.