Ho conosciuto Thomas Pistoia in prima battuta tramite mail, quando lo avevo intervistato per il numero 297 di Nathan Never, La lunga marcia. Un rapido scambio di e-mail, il like alla sua pagina di FB per seguire il suo lavoro sono stati i passi successivi; proprio seguendolo sul social ho scoperto che stava lavorando ad un romanzo, che lo scorso settembre arriva in libreria. Colpevolmente, non lo recupero subito, il tempo passa, e arriviamo a Lucca. Ero nello stand Bonelli per le interviste di rito, quando in un attimo di pausa mi guardo intorno e vedo un viso familiare, quello di Thomas; lo avvicino, finalmente ci conosciamo di persona e iniziamo a parlare. È di una gentilezza estrema, quasi vecchio stampo, mi faccio coraggio e gli chiedo se ha voglia di rispondere a qualche domanda, e lui si stupisce, come se non capisse il perché dell’interesse verso di lui. Durante l’intervista parliamo non solo del citato numero di Nathan Never ma anche di questo libro, La Leggenda del Burqa, che proprio in quei giorni mi avevano spedito per la visione in pdf. Sentire Thomas parlarne mi affascina, ma quando inizio a leggerlo mi rendo conto che l’idea che mi ero fatto dalle parole dell’autore non rende giustizia alla storia.
Accantono subito il pdf, e mi fermo. Dopo solo quattro pagine, spengo tutto. Perché certe storie vanno lette alla vecchia maniera, su carta.
Thomas ci accoglie in questo suo romanzo non con un abbraccio, non ci mette a nostro agio, ma ci proietta subito nell’atmosfera del suo racconto, duro e crudo, come la vita di una donna in certi ambienti musulmani. Mi ha preso allo sprovvista, lo confesso; la durezza della vita delle donne nel mondo arabo (non lo si cita mai, ma siamo in Afghanistan) non ci viene risparmiata, viene mostrata in modo da colpire ogni nostro senso, veniamo spinti in questo mondo così lontano e poco conosciuto. Il modo stesso di scrivere di Thomas è un misto di durezza, realismo e pietà, con un gioco di parole sembra inizialmente raccontare con distacco questa prima scena straziante, per poi passare impercettibilmente a uno stile che sembra dialogare con il lettore, lo coinvolge maggiormente, come se lo costringesse a tenere lo sguardo fisso su un orrore che solitamente evita voltando altrove lo sguardo.
È lo stile di scrittura di Thomas Pistoia. Seguendolo nella sua avventura di via Oberdan (il suo blog) ho avuto modo di leggere le sue poesie, ho apprezzato il suo umorismo nei suoi stati su Facebook, ma in La leggenda del Burqa tutto quello che ho conosciuto di lui fin’ora sembra esplodere; le descrizioni sono impietose, non nascondono nulla, Thomas vuole raccontare cosa accade laggiù (anche se all’interno di una storia parzialmente di fantasia), e non ci risparmia nulla.
Scegliendo un tema a lui conosciuto, quello dei supereroi (se ben ricordo è un fan di Batman, cosa che nel libro sembra trasparire), inserisce il suo Burqa in un contesto attuale, lo fa muovere su scenari estremamente reali, come testimoniano le note a fine volume. In un mondo fortemente maschilista, la protagonista forte è una donna, che diventa eroina, in una missione in cui viene guidata dal padre,una sorta di crociata contro l’uso strumentale di una religione. La leggenda del Burqa non è un libro contro l’Islam, ma contro chi fa dell’Islam uno strumento, sia tra i presunti fedeli che tra coloro che pretendono di esportare civiltà. Ironico come lo strumento stesso dell’oppressione della donna, il burqa, venga usato come una protezione dai protagonisti e diventi il simbolo stesso di una ribellione, il Burqa.
Mi ha stupito la libertà con cui Thomas costruisce la sua storia. Non prende posizione, non giudica, ma racconta, denunciando non solo come la situazione civile di parte del mondo islamico sia un inferno per le donne, ma come vengano abbandonate le poche voci che cercano di cambiare questa situazione. Se la giovane Malalai, il vero nome del Burqa, diventa la versione supereroistica di questa denuncia, abbiamo anche un volto pubblico, reale, ispirato alla storia di Malalai Joya, eroica donna afghana che combatte a viso aperto il malcostume del proprio paese. Certe scene sono frutto di una visione molto eroistica, ma non sono che un paravento, dietro cui si nascondono le verità scomode, dallo sfruttamento delle popolazioni occidentali all’ipocrisia di chi critica una situazione come quella islamica, per poi approfittarne lontano dai riflettori. Leggere questo libro è un’esperienza intensa, sconvolgente; giunto a metà, mi son ritrovato a soffrire con la protagonista una delle esperienze più traumatiche mai lette, come se Thomas stesse facendo una cronaca in diretta della violenza subita. La capacità dell’autore di suscitare emozioni nel lettore è notevole, ottenuta con un stile unico, che alterna descrizioni poetiche a momenti di azione pura, violenta, rabbiosa.
Non è una lettura facile, ve lo confesso, ma è una di quelle che arricchisce, da fare con calma, a mente aperta; ci sono personaggi stupendi, reali anche nel loro essere fittizi, eppure in grado di trasmettere una tragicità che ha tutto il duro sapore di una realtà scomoda e lontana. Non si tratta di un uso “ad effetto” di certe scene, violente e crudeli, ma di una sincerità dell’autore nei confronti del lettore, un impegno nel non privarlo di nessun aspetto, di immergerlo pienamente nella realtà di cui si parla.
In copertina, un’illustrazione di Lola Airaghi. Spesso nel volume Thomas cita l’unica parte visibile di una donna nel ferreo dettame islamico, gli occhi, visibili da una fessura nel burqa; Lola ritrae il Burqa in una posa che trasmette forza, che incarna un’ideale, ma voi fissate lo sguardo in quella fessura in cui troneggiano due occhi scuri, fatelo prima, durante e dopo la lettura. Viene da chiedersi come la disegnatrice sia riuscita a rivestire due semplici occhi di un disegno di tutto il dolore, la rabbia, di tutte le emozioni che animano la protagonista del libro.
Leggere La leggenda del Burqa è un impegno, ma di quelli che si fanno con volontà e con la consapevolezza che alla fine, voltando l’ultima pagina, si esce arricchiti, più consapevoli; nel mondo islamico l’unica parte libera del corpo di una donna sotto il burqa sono gli occhi, Thomas Pistoia con il suo romanzo ha voluto liberare anche i nostri.