In un merdosissimo inizio di giornata, il mio collega Marcello mi contatta per chiedermi di scrivere la recensione del suo libro. Praticamente la mattina era cominciata così: la sera prima avevo fatto tardi a lavoro e non avevo dormito bene perché si sa, gli inner demons stanno belli ingrifati durante la notte, quindi mi ero alzato con i coglioni girati trenta volte. Ancora in mutande – perché era estate come lo è ora – mi sono avviato verso il bagno dove volevo lavarmi i denti, e allora è successa quella cosa terribile – quella dove fai per mettere il dentifricio sullo spazzolino ma cade e quindi devi raschiare la stessa superficie su cui ti sei fatto la barba o hai sputato il catarro in quelle rigide notti invernali oppure dove, senza ricordi nello specifico, hai pure sbrattato qualche volta ignorando quanto in realtà fosse più utile vomitare nel cesso – Vabbè.
Perciò raschio e raschio e alla fine riprendo il dentifricio e quindi mi lavo sperando di non trovare un pelo incastrato tra i denti durante la mattina. Subito dopo raggiungo il salone dove mi preparo a fissare il computer sapendo che in realtà non accadrà nulla ma cercando di aggrapparmi a quella sordida illusione mattutina che se ne sta a lì a dirti “tranquillo, giusto un minutino, poi qualcosa da fare ti verrà in mente, ma nel frattempo… ti va un po’ di procrastinazione, io e te?”
A quel punto Marcello mi scrive. “Che ne dici di fare la recensione del mio libro?”
“Mi sono appena svegliato. Possiamo parlarne più tardi?”
“Ok, grazie! Te l’ho già inviato per mail, fai conto due settimane e poi esce, questa è la deadline.”
Ricordo di aver sospirato. “Non ti ho detto sì.”
Ricordi di aver immaginato lui sospirare. “Ma siamo amici e colleghi, è sottinteso che tu dica sì!”
“Che stronzo che sei.”
“Due settimane.”
Allora ho pensato a tutte le cose che avevo – e che ho ancora adesso – da fare, da completare, tra progetti pregni di speranza, stronzate che probabilmente rimarranno nel mio hard-disk vita natural durante, un paio di giorni al mare (ma solo due perché oh, ti pare!?), i soldi che non arrivano, i soldi che da qualche parte dovrò prendere, lavori gratis, la scrittura, le divinità rettili, le revisioni, le bestemmie, storie da concludere, storie da iniziare. “Due settimane” ho risposto, e poi ho aggiunto “ma almeno na copia cartacea me la potevi pure mandà!”
“E chi cazzo sono, Stephen King? Dai su, buona lettura!”
Allora mi sono fatto tipo tre caffè di fila, ho allontanato la procrastinazione e ho aperto il libro sulla mail. Questa è stata la prima cosa che ho letto.
Dedico il libro ai miei ex datori di lavoro che mi hanno licenziato con la scusa del Coronavirus, e mi hanno dato tempo di scriverlo. Colpa mia che dopo tre settimane ancora pretendevo de esse pagato.
Ricordo di aver riso un pochetto. Poi ricordo di essermi alzato col computer in mano e di aver raggiunto la mia stanza dove ad attendermi, c’era l’intramontabile taccuino delle recensioni. Allora mi sono messo a leggere. Il tono è stato fin da subito chiaro: un presagio che con la dedica riportata qui sopra si è riconfermato durante tutta la lettura, ed ora che io ve l’ho offerto – il presagio intendo – direi che siamo pronti a cominciare.
I miti greci rivisitati secondo l’ottica del who gives a fuck!
Senza troppi giri di parole: questo è un libro che offre una rivisitazione dei miti greci più famosi. Fin qui, ci siamo. Tra le pagine di questa raccolta emergono nomi come quello di Andromeda o di Narciso, per poi accorgersi di come l’autore abbia imposto una particolare attenzione alle coppie: Amore e Psiche, Orfeo e Euridice, i Dioscuri, questi solo alcuni esempi. Un’analisi prettamente storica porterebbe a valutare il lavoro di ricerca su cui tutta l’opera pone le basi come ampiamente soddisfacente, ma sappiatelo, non scriverò nient’altro su questo, per due motivi:
1) Da un’opera che rivisita la mitologia, ci si aspetta un’ovvia e sensata mole di ricerca come punto di partenza.
2) Non è questo il focus del libro.
E allora qual è il focus del libro? I migliori romanzi gialli si basano sulla legge ambivalente del “Who dunit – How dunit” (chi l’ha fatto e come l’ha fatto), ok? Questo si basa invece sulle regole imposte dal “Who gives a fuck!”, dello sticazzi per dirla alla nostrana. Lo sticazzi s’inerpica stoico su ogni parola. La poetica del voler divertire, mischiando le carte in tavola e proporre qualcosa di classico secondo un’ottica totalmente nuova e – lo dico – anche abbastanza libera, è palese in ogni rivisitazione. Senza fare esempi nello specifico, col rischio di incorrere nello spoiler, durante la lettura mi è sembrato di trovarmi di fronte a qualcosa che conoscevo ma che mi si presentava con una veste sì accattivante, ma soprattutto ironica. Ed è questo il bello del libro, che non si propone come un pilotto a dito puntato su quello che in teoria già dovresti conoscere, no. Il bello è che questa raccolta ti fa ridere.
Ogni storia è infarcita di riferimenti alla cultura popolare, più vicina ai lettori di fumetti, a chi consuma le sue giornate divorando i film più interessanti, o a chi fa entrambe le cose. Inoltre, attraverso la solita veste scanzonata, i racconti fanno appello a delle questioni interessanti ma che nel panorama odierno vengono ancora taciute, quasi come se non fossero del tutto accettate. L’autore utilizza l’appeal classico dei miti per catapultare chi legge in una sorta di riflessione sulla libertà sessuale, e con questo mi ricollego alle questioni taciute. Non mancano riferimenti al panorama BDSM, perfettamente congrui con i miti rivisitati in cui compaiono, o anche alla filosofia dell’orientamento relazionale poliamoroso che, nonostante le ovvie risate, in un qualche modo raggiunge il lettore, offrendo quindi dei primi strumenti per affrontare informazioni tanto importanti – perché all’effettivo parti integranti della società che viviamo – e allo stesso tempo utili per allargare le proprie vedute. Con questo, non voglio dire che l’opera sia una sorta di conversione a certi modi di pensare o di vivere. Il lettore non si sentirà mai costretto ad essere d’accordo con quanto letto. Dico soltanto che, tra una risata e l’altra, il libro ti fa rendere conto di come alcune dinamiche siano insite nell’essere umano dal momento in cui erano già collocate nei miti elaborati all’epoca e che, ora, ci vengono riproposte con uno sguardo ironico ma che non ne altera l’essenza. In questo, I Grandi Miti Greci: coatti supereroi ellenici, si presenta come un lavoro libero da inutili costrizioni sociali. Poi sta a lettore decidere cosa fare con le informazioni sottilmente acquisite, ma posso assicurarvi questo: tematiche importanti o meno, dalla risata non riuscirete a fuggire.
Ma ci stanno anche i disegnetti!
Esatto! Ne avrete già visti un paio qui sopra. L’autore ha infatti dato un apporto grafico all’opera che ho trovato personalmente molto stimolante e su cui, di seguito, andrò a spendere qualche parolina. La ricostruzione dei miti attraverso il disegno viene utilizzata come apertura a ciascun capitolo, questo fa sì che il lettore si abitui a un certo tipo di immaginario che è anche – ovviamente – quello dell’autore. Questa è una funzione che ho trovato interessante perché in maniera del tutto funzionale supporta il tono di quanto verrà letto. Inoltre, le libertà artistiche in alcuni immagini offrono la visione di pattern deliziosi e allo stesso tempo delicati. Il disegno, anche se fondamentale, non andrà mai ad appesantire la lettura, e anzi: ne diverrà quasi uno strumento al servizio della narrazione, perché – almeno così è stato per me – ci sarà spesso una curiosità di fondo che porterà in avanti la lettura.
Certamente, anche l’aspetto grafico è infarcito di riferimenti alla cultura popolare, ponendo l’accento su categorie specifiche come videogiochi e seriali televisivi (e almeno una volta anche sfociando sull’autoreferenziale, ma su questo non dirò altro: chi conosce Marcello di persona lo troverà sicuramente tra le pagine, oltre le parole, non solo sul tratto, e ne rimarrà piacevolmente colpito). I giocatori di Dark Souls resteranno soddisfatti ma anche i fan più accaniti di Assassin’s Creed o, come state vedendo qui sopra, dell’ormai ben nota principessa guerriera. Le reference ci sono, ma non sempre saranno esplicite, per questo dovrete essere attenti.
E dunque questo è tutto quello che avevo da dire. Alla fine la recensione l’ho scritta e mi sono tolto questo sasso dalla scarpa: posso tornare alla procrastinazione e a raschiare il fondo del lavandino del bagno. Il libro a me è piaciuto, ma non metterò un voto. E’ una cosa che inizia a non piacermi più di tanto, dare un voto alle cose, soprattutto se sono degli altri. Anche perché, arrivati fin qui, vi sarete fatti un’idea abbastanza chiara del mio pensiero sull’opera. Quello che posso dirvi prima di lasciarvi a queste ondate di caldo estremo è: “se fossi in voi, darei una letta al libro, anche perché è interessante nella rivisitazione e nel suo comparto grafico, perché l’ha scritto uno stronzo che manco m’ha mandato una copia cartacea – quindi almeno voi potrete averla a questo link – perché ho sacrificato il mio tempo a Ishtar per scrivere questa recensione e perché, seriamente, ma seriamente proprio, questo libro fa sganasciare dalle risate.”
Ciao ciao