Hidden: Verità Sepolte, pellicola girata dal regista Roberto D’Antona – nel film Martin Berardi – in soli 43 giorni, ci immerge in un paesino italiano nel novarese dove toccheremo diversi temi sociali: dall’indifferenza all’inclusione, dalla rabbia incontrollata alla violenza psicologica e fisica. Da subito, ci verrà esplicitata la natura thriller del film, senza nascondere il come ed il chi, come in ogni film, ma non rivelando ogni dettaglio, rendendo possibile da subito l’associazione del colpevole ai crimini, senza però togliere ogni dubbio. Proprio questo sarà l’elemento che permetterà al regista di vivere l’ansia prima, e lo stupore poi, nelle scene a venire che si ispirano a fatti reali.
Verremo quindi catapultati dentro due storie che, almeno all’inizio, hanno in comune solamente l’ambientazione, e che si svilupperanno parallelamente e drammaticamente senza mai toccarsi. Il rapido sviluppo di una delle storie, che ci permette di godere di quei pochi sorrisi, viene messo in contrasto con il più lento degenerare della compulsività dell’altra. Questo stridere tra le due, ci permette tanto di capire quanto di temere cosa andremo a vedere nella parte finale della pellicola.
Il tratto drammatico di entrambe le storie rimane costante per almeno metà pellicola, vedendo prima una parentesi di allegria che quasi stona in un contesto come quello in cui siamo immersi, per poi subire una profonda e violenta caduta. Infatti, l’andamento del film, che inizialmente procede lentamente – forse un po’ troppo – e che fa mantenere le giuste distanze tra le due storie, accelera improvvisamente in un vortice degenerativo di crudeltà. Questo forte contrasto è molto utile per sottolineare ed amplificare la drammaticità degli eventi che non solo ci accompagna, ma ci avvolge in un turbine così ben strutturato da non finire nemmeno dopo la scena conclusiva.
Un’osservazione la merita sicuramente la colonna sonora, non allegra e che riesce ad accompagnare le scene in maniera coerente. Aurora Rochez riesce, quindi, a rendere ancora meno serene le scene nude, crude e forti, con un accompagnamento altrettanto severo.
La perfetta geometria delle riprese, aeree e in campo ristretto, ci accompagna, per tutto il film, la maniacalità inquietante e sconcertante delle azioni di Emilio Lorenzi (Francesco Emulo), il quale risulta essere una presenza costante nella scena. Una presenza non presente, ecco una forte caratteristica della pellicola. Un attore che riesce, con la sua interpretazione, a far percepire il proprio personaggio in ogni istante, anche quando non fisicamente presente, e con il quale il regista decide di aprire e chiudere, quasi, la pellicola. Proprio questo ci permette di analizzare la debolezza dell’uomo, preda delle sue ossessioni e vittima delle situazioni, rendendo la vittima colpevole ed il colpevole vittima. Spiccano, quindi, le performance di Francesco Emulo e di Roberto D’Antona tra tutti, che riescono a rendere più scorrevoli e fluide alcune interpretazioni sicuramente molto più “ingessate”.
Due ore abbondanti del film di D’Antona, che dal 2 febbraio possono essere godute da tutti nelle sale cinematografiche selezionate e che costruiscono, in tutta la loro crudezza, un thriller per nulla scontato.