L’albo di questo mese ci porta a confrontarci con una storia estremamente verosimile e attuale. Faccio questa premessa perché portare dei cambiamenti in un albo serializzato, che per sua natura vive anche di elementi cristallizzati, è un’impresa non semplice e delicata. Tuttavia, il cambiamento di cui parlo non riguarda il fatto di preferire tematiche credibili e quotidiane rispetto a surreali o horror. Quello che sta facendo Dylan Dog è invece un ritornare all’attualità. Non è questo il luogo per dilungarsi sul perché il Dylan Dog classico, ai tempi della sua uscita, rappresentava un ottimo specchio dei tempi e delle loro contraddizioni (oltre a parlarci di questioni universali). Basta ricordare un vecchio assunto di Sclavi che riassume bene questo discorso: i mostri siamo noi.
Infatti, nelle storie che hanno contribuito a definire il personaggio all’origine, in aggiunta a una forma che poteva essere veicolata da diversi “contenitori” (l’horror, il grottesco, il sovrannaturale), c’era sempre o quasi un elemento di critica verso i simboli della società contemporanea. Una società spesso composta da persone all’apparenza normali e giuste, che potevano però nascondere un animo abietto e pensieri ignobili.
Nella storia del mese veniamo a conoscenza di Ahmed, un ragazzo di origini africane e praticante islamico. Bersaglio perfetto per il miglior coacervo di pregiudizi razzisti, dato che nel pacchetto può aggiungere l’essere residente nella Londra contemporanea, una città coinvolta nel processo di uscita dall’Unione europea, meglio conosciuto come Brexit. La metropoli è in fermento per l’inizio del World Cultural & Science Festival, che porterà una forte affluenza di persone dall’estero, e di conseguenza controlli e “allerta terrorismo” ai massimi livelli. Nel frattempo Dylan, in attesa di un appuntamento con Rania, vaga nel luogo del melting pot per eccellenza: il mercato. Tra sapori e erbe aromatiche, inizia la sua giornata di ordinaria follia, che gli ritaglierà il ruolo di uomo giusto al momento sbagliato. Intanto Rania, coadiuvata da un vecchio amico della centrale, è impegnata dai controlli nei luoghi chiave di passaggio dei turisti, quale la stazione, quando riceve una segnalazione per un allarme bomba in una scuola. La classe è proprio quella di Ahmed, sorpreso con una misteriosa valigetta nel laboratorio di scienze da un professore. Senza possibilità di spiegarsi, il ragazzo viene additato dall’insegnante nel panico: è un terrorista e a breve farà esplodere la bomba. Rapidamente i media assurgono il giovane al ruolo di ragazzo-bomba, diffondendone i connotati fisici e allertando tutti sulla sua pericolosità.
Da qui in poi iniziano due percorsi – quello di Dylan più complicato rispetto ad Ahmed – che porteranno i nostri a incontrarsi su un palco, entrambi attori protagonisti (terrorista e complice), senza aver mai richiesto i ruoli.
Per quanto la storia sia perfettamente calata nell’attualità, ciò che colpisce è che il MacGuffin che aziona il tutto, la valigetta di Ahmed, è il veicolo di un qualcosa che eravamo in grado di fare ugualmente vent’anni fa (la chiamata in segreteria alle scuole superiori per una possibile bomba). Grazie al terrorismo 2.0, riuscito a instillare un terrore soffuso pure per un semplice evento quale un festival della scienza, neanche la goliardata “innocente” della presunta bomba nella scuola è un’idea che può essere presa alla leggera. La polizia si presenta nella scuola di Ahmed perché ci crede, perché ci deve credere. L’ipotesi si prende sul serio in quanto ha più chanches di essere vera che falsa. I recenti fatti reali di Piazza San Carlo a Torino concretizzano questo discorso: se urli “bomba!”, quella bomba esiste, a prescindere dal suo essere reale o immaginata. Discorso drammaticamente legato ai meccanismi del MacGuffin nella narrazione.
“IL TERRORE”, NON POTENDO CONTARE SU ELEMENTI SOVRANNATURALI O MISTERIOSI ANTAGONISTI, TROVA LA SUA FORZA IMMERGENDO DYLAN DOG IN UNA LONDRA CHE, COSI’ PIENA DI TENSIONI E PAURE, DIVENTA IL NEMICO STESSO.
Il percorso di Dylan in questa storia è complesso in quanto, nel suo essere sempre nel posto sbagliato, oltre a Carpenter riuscirà a mettersi contro l’esercito e una banda di motociclisti. Ottimo è l’artificio di far dimenticare gli occhiali ad Ahmed all’uscita dalla scuola: l’espressione del volto, turbata dalla vista imperfetta, contribuisce a dargli un’aura di sospetto maggiore rispetto al suo amabile volto con gli occhiali tondi. Risultano un po’ deboli i personaggi secondari di Gabriella Contu: dai genitori di Ahmed ferventi religiosi, ai bikers di varie nazionalità con tendenze xenofobe da redneck americani. La sceneggiatrice confeziona comunque un buon esordio sulla serie regolare di Dylan Dog. Più convincente è la sua narrazione sulla reazione delle persone al possibile soggetto terrorista. Vediamo scorrere quelle opinioni preconfezionate che spesso ci tocca sentire in queste situazioni, come: “Ahmed? Simpatico, ma…” (se la televisione dice che è un terrorista, il cittadino medio deve trovare un “ma”). Ben descritto è il ruolo dei media, ormai pervasivo, in questo tipo di avvenimenti: non è assurdo pensare a televisioni e siti internet che, grazie alle segnalazioni prioritarie dei cittadini, giungono sulla notizia prima della stessa polizia. Giampiero Casertano con i suoi disegni ci regala un bell’inseguimento automobilistico in cui possiamo apprezzare, tra gli altri, luoghi quali Marble Arch o Buckingham Palace. La copertina dell’albo ricalca l’atto terroristico per eccellenza del corrente secolo, quello dell’11 settembre 2001, con l’incendio del Big Ben che stralcia la cupezza del resto dell’immagine. Nel corso della storia c’è anche lo spazio per una citazione di “V per Vendetta”.
CONCLUSIONI: "Il terrore", invece di proporci un canonico caso mensile, catapulta Dylan nel bel mezzo di un verosimile allarme terroristico a Londra. Un albo che, ponendolo in numerose situazioni al momento sbagliato, facilita l'emergere di quel Dylan politicamente corretto che, piaccia o no, è pienamente parte dell'identità del personaggio. L'utilizzo del MacGuffin è ottimo, fedele alle consuetudini narrative di questo meccanismo. Meno convincenti risultano i personaggi del mese (sia Ahmed che i genitori), poco approfonditi al di là delle loro azioni. Nella migliore tradizione “sclaviana”, ancora una volta il “mostro”, a cui la storia ha già assegnato il ruolo, può essere meno terribile di chi lo addita basandosi su scarse informazioni e tanta sicurezza. Dato l'argomento scottante, ci saremmo aspettati delle battute al vetriolo di Groucho, purtroppo assenti. Nonostante ciò, l'albo risulta piacevole, in equilibrio tra quegli elementi cristallizzati citati in apertura e lo sguardo al presente, imprescindibile per un fumetto che continua a modernizzarsi.