Creed III, battesimo alla regia per Micheal B. Jordan e ‘addio’ alla vecchia guardia di Sylvester Stallone, ci riporta nei panni di Adonis Creed, figlio del celebre Apollo. Non ci troviamo qui, però, a parlare dell’albero genealogico di una delle saghe più conosciute della storia cinematografica, quanto più a voler descrivere ciò che ci è stato regalato, o meno, da questo primo lungometraggio del regista-protagonista.
La storia, con la solita voglia di non fare spoiler, parla del ritorno di un vecchio amico di Adonis Creed, Damian ‘Diamond’ Anderson (Joanathan Majors). Questo ritorno permette di frugare nel passato del protagonista, dove vedremo la nascita di ciò che sarà la trama. In questa, si vedrà lo sviluppo della situazione familiare dell’ex pugile, con un occhiolino, ben strizzato prima ed aperto poi in maniera tanto leggera quanto significativa, ai portatori di sordità e mutismo.
Il titolo si dimostra essere una spirale, che lentamente converge in una singolo punto, per poi esplodere in un finale tanto scontato quanto dinamico. Tale convergenza non solo risulta preparatoria per una risoluzione finale della trama, ma anche accompagnatrice di uno sviluppo psicologico dei personaggi. Jordan riesce a portare, in una pellicola con la boxe come sfondo, una situazione che viene ben servita fin dai primi secondi. Situazione che, però, viene intelligentemente lasciata sotto terra, pronta per essere ritirata fuori prepotentemente in alcuni momenti di svolta.
Per quanto l’impegno sia tangibile e la voglia di far bene anche, si può percepire un’acerbità nella regia del titolo, che non riesce mai veramente a sorprendere. Purtroppo, la pellicola casca nella banalità dello sviluppo di una storia già vista e rivista. Questo, però, non è sinonimo di sottotrame poco toccanti o non coinvolgenti, quanto più di trama la cui strada è chiara fin dall’inizio, portando ad un’assenza della scoperta e percorrendo un sentiero che prova ad allontanarsi dai titoli precedenti. Sicuramente, si percepisce l’inizio della staffetta tra Rocky, che si sta fermando, e Creed, che, al contrario, ha preso il testimone pronto ad accelerare e ad invertire la rotta. I non troppi incontri, infatti, descrivono in maniera piacevolmente alternativa la rapida, ed improbabile, crescita di Damian, spostando così il focus sportivo dal protagonista all’antagonista.
Qualche richiamo significativo, a ragion veduta, viene concesso meritatamente a chi ha costruito la storia – Rocky Balboa – in particolar modo, attraverso la corsa finale sulla montagna che riesce a far fare un tuffo nel cuore agli amanti più veterani della saga.
Di meritata menzione deve godere il lavoro dell’amico-antagonista, Jonathan Majors, che è riuscito a caratterizzare il personaggio con espressioni tanto dure quanto sofferenti. Il messaggio di tristezza e rabbia viene trasmesso allo spettatore in maniera mai velata, prima con le espressioni e, solo poi, con gesti degni di un buon ‘cattivo’, perdonate l’ossimoro. Il resto del cast, sicuramente di alto livello, compreso il regista stesso, dimostra bene le sue capacità espressive e attoriali, riuscendo a coinvolgere figure come Canelo tra gli altri. Coinvolgente e convincente, nei mai semplici ruoli di persone con handicap, l’interpretazione di Mila Davis-Kent, nei panni di Amara Creed.
La pellicola, distribuita da Warner Bros. nelle sale italiane dal 2 marzo 2023, merita sicuramente di essere vista nei suoi piacevoli 116 minuti. Risulta divertente e dinamica anche nelle parti della boxe, seppure con qualche osservazione tecnica a riguardo per i più attenti.