Diciamocelo in tutta franchezza, difficilmente un lettore di fumetti odia in tutto e per tutto i supereroi, è la base su cui il 99% di noi “si è fatto le ossa”. Certo, magari si preferisce una gestione di un determinato scrittore rispetto ad un altro, magari alcuni personaggi non rientrano nelle corde dello specifico lettore, ma è impossibile non essere affascinati dalle storie di supereroi, soprattutto quando questo concept viene rimodellato e adattato per trattare temi più particolari e di vena autoriale. E’ questo il caso di Black Hammer, serie a fumetti Dark Horse, scritta da Jeff Lemire, disegnata da Dean Ormston e pubblicata in Italia da BAO Publishing in formato cartonato.
Difficile non aver mai sentito parlare di Jeff Lemire, un’autore completo che ormai è (quasi) sempre sinonimo di qualità. Dopo alcune brevi e minori produzioni, tra cui Lost Dogs (nato durante il 24-Hour Comic), l’autore canadese spopola, tra pubblico e critica, per via di tre racconti che poi formeranno il noto volume Essex County, un’opera personale, scritta e disegnata dallo stesso Lemire. Questa graphic novel porterà Lemire a lavorare per editori più grandi come DC Comics (tra cui ricordiamo Sweet Tooth e Animal Man), Valiant (The Valiant, Bloodshot Reborn), Marvel (All-New Hawkeye, Moon Knight, ecc.). Nonostante ciò, Lemire non ha mai abbandonato il panorama più indipendente, anzi ha sempre preferito dedicarsi a produzioni creator-owned, come le serie Descender, A.D. After Death, Plutona e Royal City, pubblicate sotto Image, ma anche la stessa Black Hammer. Dean Ormston, è sicuramente un’artista più navigato del giovane Jeff Lemire. Ha avuto modo di disegnare numeri di Judge Dredd Magazine, di partecipare a grandi produzioni Vertigo tra cui Sandman di Neil Gaiman, Lucifer di Mike Carey o anche Sandman Mystery Theatre di Matt Wagner. E’ stato lo stesso Jeff Lemire a volere la matita dell’artista britannico per Black Hammer, per via dello stile tramite il quale Ormston ritrae i supereroi e le loro storie.
Black Hammer è essenzialmente una lettera d’amore di Jeff Lemire verso il genere supereroistico. I protagonisti sono sei eroi che si ritrovano bloccati in un’altra dimensione per via di uno scontro con l’Anti-Dio, un personaggio stilisticamente Kirbyiano, che ricorda un mash-up tra Darkseid e l’Anti-Monitor. L’evento è ispirato ad una Crisi DC Comics ed infatti Crisi sulle Terre Infinite è stata una delle letture che più ha segnato Lemire in gioventù. Ma i parallelismi con gli universi fumettistici più famosi non finiscono qui.
I protagonisti stessi, a detta dello stesso sceneggiatore, sono dei tributi a vari periodi dell’editoria supereroistica: la giovane Golden Gail è un personaggio molto simile a Capitan Marvel, attualmente più noto come Shazam, un personaggio prettamente Golden Age; così come Abraham Slam, un combattente del crimine in calzamaglia sempre ispirato ai supereroi dell’epoca d’oro. Colonel Weird, accompagnato dalla robotica Talky Walky, è invece un personaggio tipicamente anni ’50, proveniente da quelle storie sci-fi tanto amate dai lettori dell’epoca, insomma è impossibile non notare l’ispirazione verso il personaggio di Adam Strange della DC Comics. Barbalien è un eroe di stampo Silver Age, molto simile ad un Martian Manhunter, sia nei poteri che nelle origini. Mentre Madam Dragonfly, seppur possa ricordare un tipico personaggio tratto da serie a fumetti horror come House of Mystery, nella caratterizzazione è molto più vicino ad uno di quegli anti-eroi che poi saranno la base del periodo Vertigo. A questi si aggiunge Black Hammer, deceduto provando a superare il campo di forza che delimita il perimetro entro il quale gli eroi sono bloccati. Di quest’ultimo rimane solo il martello, la sua unica arma, aldilà della barriera che imprigiona i sei superstiti.
Il primo volume, contenti i primi sei albi, alterna flashback contenti le origini dei protagonisti a momenti ambientati nel presente della narrazione ovvero ben dieci anni dopo l’evento che li ha bloccati in questa ulteriore realtà. Abbiamo quindi modo di vedere come questi personaggi sono cambiati, come questa nuova situazione li abbia incupiti. Questi continui salti temporali della narrazione sono evidenziati anche nell’aspetto grafico. Le tavole che raccontano il passato dei protagonisti presentano due palette molto distanti tra loro: una più smorta, quasi come delle vecchie foto sbiadite, che ci mostra i protagonisti prima di diventare dei giustizieri mascherati; contrapposta a dei colori decisamente più vivi, quasi “giocattolosi”, utilizzati nelle scene in cui i supereroi entrano in azione. Anche la narrazione del presente si distingue cromaticamente presentando una gamma di tonalità molto più spenta e realistica.
Lemire ci mostra il gruppo come una famiglia problematica, un po’ come i Fantastici 4, costretti in un continuo loop di litigi, dispetti, e riappacificamenti. Tutto ciò, però, non avviene in un contesto moderno e tecnologico, come con la famiglia più famosa della Marvel Comics, bensì in un setting di campagna tipico delle storie prettamente personali che l’autore ci ha raccontato negli anni. Il motivo dietro questo isolamento a sfondo rurale richiama uno dei concetti più classici del genere supereroistico. Questi sei freak evitano quanto più possibile il contatto con il paese vicino per evitare di essere scoperti, per nascondere le loro identità segrete, misteri necessari alla sicurezza dei propri cari, in questo caso anch’essi eroi.
Nel secondo volume, Black Hammer: l’Evento, la narrazione riprende dal plot twist presente nella conclusione del precedente capitolo ovvero l’arrivo di Lucy Weber, una giornalista investigativa, alla fattoria dei sei eroi. La ragazza si scopre essere la figlia dell’eroe che presta il nome alla serie a fumetti in questione. L’impostazione narrativa di questo secondo cartonato è la stessa utilizzata nel precedente, nel primo capitolo, ad esempio, Lemire continua a mostrarci parallelamente sia il passato che il presente dei personaggi, e infatti da una parte osserviamo le origini di Black Hammer, dall’altra l’incontro tra Lucy e i sei superstiti.
Joseph Weber, questo il nome dell’eroe, è un personaggio che nei poteri risulta essere molto simile a Thor: il suo status deriva dal martello che imbraccia, arma che solo una persona degna può utilizzare, e così come il Dio del Tuono poteva trasformarsi in Donald Blake (la sua controparte umana) semplicemente battendo a terra Mjolnir, così vale anche per Black Hammer. Differentemente da Thor, a Joseph Weber manca il controllo dell’elettricità, ma non solo, anche il background mitologico differisce da quello del figlio di Odino. L’origine della figura di Black Hammer nasce da un contesto parecchio simile a Quarto Mondo di Jack Kirby, dai personaggi di contorno ai luoghi di origine.
L’arrivo di Lucy non fa che creare altra tensione all’interno della “famiglia” di supereroi. La ragazza è arrivata nella dimensione in cui i protagonisti sono imprigionati, ma non ricorda in che modo e perciò comincia ad investigare sul luogo in cui è intrappolata, iniziando a scoprire diversi particolari che le fanno dubitare di tutto e tutti, persino di alcuni dei protagonisti. Andando avanti nel volume Lemire continua a dare forma ai personaggi, raccontandoci sempre più del loro passato e del rapporto che li legava quando combattevano il crimine. Mentre nel presente i sei continuano ad avere difficoltà nell’integrarsi: le complicate situazioni amorose di Abraham e Barbalien, il crollo piscologico di Gail, la traumatica psiche di Colonel Weird.
La narrazione di entrambi i volumi è di ampio respiro, Jeff Lemire non sembra avere alcuna fretta, vuole dare un peso preciso alla sua storia, una tridimensionalità curata ai suoi protagonisti. A differenza del primo cartonato, molto più presentativo, questo secondo volume porta avanti la narrazione in maniera intrigante e con dei colpi di scena davvero inaspettati, avvicinandoci sempre di più a sbrogliare il mistero che si cela dietro a tutto ciò che è capitato ai nostri eroi. Nonostante però parliamo di un fumetto che ha come protagonisti dei supereroi, sembra di leggere una storia alla “Essex County” o alla “Niente da perdere”, che presentano una narrazione molto più intima e con la quale Lemire ha fatto innamorare tutto i suoi lettori.
Dal punto di vista grafico, Black Hammer è davvero una serie spettacolare. Il tratto nostalgico di Dean Ormston trasmette molto bene il messaggio di amore di Lemire verso i fumetti di supereroi, anche merito della colorazione cangiante di Dave Stewart in base alla linea temporale della narrazione. Persino le variant cover di Jeff Lemire sono dei remake di copertine che hanno segnato l’editoria americana a fumetti. Invece nel secondo volume, in particolare nel #9 della serie, il main artist viene sostituito dalla matita di David Rubín, che presenta un disegno molto più indie, quasi ispirato allo stile di Genndy Tartakovsky (autore di Samurai Jack), oltre ad utilizzare una palette cromatica parecchio ampia e delle costruzioni di tavole davvero interessanti.
Per quanto concerne l’edizione prodotta da BAO Publishing, questa si presenta in un elegante cartonato davvero solido e di dimensioni classiche, se messo a paragone con i volumi dello stesso formato già in circolazione. Alla fine di ogni voume, però, potrete trovare un’ampia sezione di extra contenenti studi dei personaggi, alcuni WIP (work in progress) di tavole e cover, degli insight sulla creazione dei protagonisti, copertine variant e tanto altro così da poter arricchire la fantastica esperienza che la serie offre.