Non è la prima volta che qui su Nerdgate vi parliamo di Black Hammer, universo narrativo creato dal pluripremiato autore canadese Jeff Lemire ed edito, negli Stati Uniti, da Dark Horse. Qui in patria, invece, è BAO Publishing a tradurre e pubblicare i volumi di Black Hammer: sia quelli principali, che tutti i suoi spin-off. L’ultima volta, con Quantum Age, ci siamo addentrati nel futuro dell’universo di Jeff Lemire, mentre questa volta facciamo un tuffo nel passato, per la precisione nel 1945. Oggetto di questa recensione è Black Hammer ’45, storia di Jeff Lemire e Ray Fawkes, con testi di quest’ultimo e disegni di Matt Kindt.
Sappiamo che Jeff Lemire ama introdurre in Black Hammer tutti quei concept del fumetto americano mainstream che hanno conquistato il suo cuore di lettore. Con il già citato Quantum Age, l’autore canadese ci aveva proposto una sua versione della Legione dei Supereroi, gruppo DC Comics del XXXI secolo. Invece con Black Hammer ’45 ci ritroviamo a seguire le vicende dello Squadrone Black Hammer, un gruppo di aviatori che combatte i nazisti per conto dell’esercito statunitense. Questo concept prende a piene mani dall’intero genere del fumetto di guerra che spopolava tra gli anni ’40 e ’70, a cavallo tra la Golden Age e la Silver Age del fumetto americano. In particolare Lemire crea una sua versione del Blackhawk Squadron, gruppo di aviatori protagonista della serie a fumetti Blackhawk che, inizialmente, era pubblicata dall’editore Quality Comics e successivamente da DC Comics.
Black Hammer ’45 muove la sua narrazione su due piani temporali: da una parte il 1945, intenso anno che ha visto la fine del secondo conflitto mondiale, dall’altra un’imprecisato post-bellico, diverse decadi dopo gli anni ’40. In quest’ultimo periodo temporale, che apre la nostra storia, facciamo la conoscenza di alcuni membri dello Squadrone Black Hammer, giunti ormai in età anziana e riuniti per un’occasione speciale. Ciò che però fa da padrone nella narrazione del volume è la vicenda avvenuta nel 1945, per la precisione una missione di recupero che viene affidata allo Squadrone Black Hammer.
Black Hammer ’45 sfoggia una narrazione solida, che fa il suo compito, ma che potrebbe fare molto di più su tanti aspetti che gli autori inseriscono nella narrazione, ma che non approfondiscono. A tal proposito, una scelta interessante di Lemire e Fawkes è quella di aver composto lo Squadrone Black Hammer con membri proveniente dalle minoranze che, per gran parte del ‘900 (e non solo), sono state ostracizzate dalla cultura occidentale: non solo persone di colore, ma anche asiatici. Tuttavia questa scelta non viene sfruttata come potrebbe (o come dovrebbe): Lemire e Fawkes ci dicono che le eroiche gesta dello Squadrone Black Hammer non vengono attribuite ai suoi membri per motivi razziali, ma non danno il giusto spazio alla questione perché possa essere affrontata con maggiore complessità, con più sfaccettature.
Sempre riguardo i mancati meriti ai protagonisti, Lemire e Fawkes introducono un interessante concetto metafumettistico. I membri dello Squadrone si lamentano, in un paio di momenti, del fatto che i supereroi intervenuti sul campo di battaglia oscurino tutti quei soldati che si sacrificano per la propria patria, venendo quindi privati delle attenzioni che meritano. Sono tanti i fumetti Marvel e DC che inseriscono i propri supereroi nei conflitti armati della Seconda Guerra Mondiale, alcuni esempi come All-Star Squadron o Liberty Legion vengono anche “black hammerizzati” all’interno del volume. Questo complesso rapporto che gli sceneggiatori ci presentano, tra soldati e supereroi, può essere osservato da una prospettiva diversa ovvero come confronto (e conflitto) tra il fumetto di guerra e quello supereroistico nell’editoria statunitense, soprattutto in riferimento al periodo in cui i due generi convivevano a stretto contatto. Anche in questo caso, però, Lemire e Fawkes non danno alla questione il giusto approfondimento, lasciando il tutto ad un livello molto superficiale.
Molto gradita è invece la scelta degli autori di innestare una piccola componente fantascientifica (e molto Silver Age) nel contesto bellico che, di per sé, è prettamente realistico. Sono presenti, infatti, un paio di elementi sci-fi che rendono un po’ più frizzante la storia e che ritroviamo interpretati dalle matite di Matt Kindt. È raro vedere Kindt come solo artista di un fumetto e non anche (o solo) come sceneggiatore. Il suo stile di disegno dà alla storia un gusto molto retrò, come se stessimo leggendo dei vecchi albi ritrovati in soffitta e con le pagine ormai ingiallite. Personalmente, posso riconoscere che il tratto di Kindt non sia per tutti i palati, ma se amate il disegno di Jeff Lemire non avrete problemi neanche con questo volume, visto che i due stili sono molto simili.