Non sempre tutti i personaggi di un fumetto ottengono la giusta attenzione, finendo talvolta relegati in ruoli di secondo piano. Se poi l’eroe di turno fa parte di un supergruppo, il rischio di venire eclissato da colleghi con più carisma è altissimo, e l’oblio è dietro l’angolo.
La fortuna di questi eroi di seconda scelta è la nuova vita dei comics al cinema, in cui anche personaggi semi-sconosciuti e poco apprezzati possono prendersi la rivincita sui loro compagni più venerati diventando, almeno per il tempo di un film, i veri protagonisti.
Quest’estate i riflettori sono stati tutti per Ant-Man, atteso con ansia da tutti i Marvel fan, anche perchè il protagonista non è poi così di secondo piano. Secondo il canone fumettistico, il primo Ant-Man, il dottor Hank Pym, è stato uno dei fondatori dei Vendicatori, militando nelle loro fila per diversi anni; nella sua carriera cartacea si è reso protagonista di azioni eroiche e tonfi epici, rimanendo sempre, però, in contatto con la formazione della Casa delle Idee.
Nella sua impresa cinematografica, l’amico degli insetti si presenta nella sua seconda incarnazione, senza però dimenticare anche il primo portatore della divisa rossonera; adesso tutti seduti, silenzio in sala, inizia Ant-Man
LA NASCITA DEL GENERE CINECOMIC CONSENTE ANCHE AI SUPEREROI MINORI DI ESSERE FINALMENTE PROTAGONISTI
Scott Lang è un uomo geniale, a suo modo, con un vantato master di ingegneria elettronica, ma ha un piccolo difetto: è un ex galeotto. Quando esce dal carcere dovrà accettare l’ospitalità del suo ex compagno di cella, cercare un lavoro nonostante il suo passato sia un ostacolo e tenersi alla larga dai guai, ma ha un ottimo motivo per farlo; la sua bambina, Cassie. Anche se ora Cassie, assieme alla sua ex moglie, vive con un altro uomo, che, non c’è limite al peggio, è un poliziotto; insomma, comunque la mettiamo Scott non ha nulla dell’eroe, diciamo che è più dalla parte dei perdenti, di chi proprio non ne combina una giusta! Eppure potrebbe avere una seconda possibilità, forse c’è qualcuno che crede in lui al punto di affidargli la sua più importante creazione: Hank Pym.
Parliamo di Hank Pym, il dr. Pym, il famosissimo scienziato, il fondatore dalla PymTech, che ormai da qualche anno pare si sia ritirato, al punto che nemmeno i suoi dipendenti ormai lo riconoscono; dopo anni di vita pubblica inesistente, lo scienziato torna ai suoi laboratori su invito del suo vecchio assistente e protegè, Darren Cross, che pare su punto di svelare una scoperta sensazionale.
Peccato che la scoperta di cui Darren si vanti sia in realtà una delle invenzioni più geniali di Pym, ma anche la causa dei suoi problemi: una particella in grado di mutare oggetti e persone di dimensioni, rendendoli piccoli come formiche. Durante la presentazione Pym tenterà di dissuadere Cross nel perseguire questa ricerca, tentando di fermare il suo intento di creare un’armatura per i militari sfruttando questa tecnologia, senza successo. Rimane quindi una sola possibilità: rubare l’armatura prototipo.
E qui entra in scena il nostro Scott.
Da questo spunto si snoda la vicenda che vede protagonista uno strepitoso Paul Rudd, calato nei panni di Scott Lang/Ant-Man. È interessante vedere come un uomo che sembra destinato votato al fallimento, se opportunamente stimolato e aiutato sappia redimersi e diventare un eroe; Scott non ha superpoteri, non indossa un’armatura e non è certo una divinità, eppure, solo con la forza di volontà e la determinazione, riesce a meritare un posto nella comunità superoistica. Certo, il primo passo è un furto, in linea col suo passato, ma stavolta il committente misterioso è la vittima del furto stesso, intenzionato a testare l’intelligenza e la determinazione del suo futuro socio.
SCOTT LANG NON HA NULLA DELL’EROE, MA QUESTO NON IMPEDISCE A UN EX GALEOTTO DI DIVENTARE IL NUOV ANT-MAN
L’attuale fase del Marvel Cinematic Universe ha deciso di darsi una veste nuova, mirata più all’intrattenimento globale e scegliendo di non offrire più prodotti solo diretti a un pubblico di fumettari; certo la parte nerd del film deve esserci, ne è la spina dorsale, ma il contorno deve attirare in sala anche persone che dei fumetti non conoscono nulla.
Ecco che Ant-Man, seguendo l’esempio de I Guardiani della Galassia, introduce nella trama l’elemento comico, il divertimento da risata, strizzando anche l’occhio ai più piccoli: sotto questo aspetto le avventure di Scott sono un successo! Il film è un perfetto equilibrio di avventura, comicità e azione, un’alchimia in grado di accontentare tanti palati e non deludere nessuno; il lavoro fatto al regista, Peyton Reed, e dal suo team è incredibile, specialmente se consideriamo che è subentrato al primo regista Edgar Witght, autore anche della prima sceneggiatura su cui poi Reed ha dovuto lavorare. Nonostante questo intoppo, la trama scorre, con tempi precisi e ben scanditi, evitando tempi morti e scansando il pericoloso di rendersi ridicola per la troppa comicità.
Va riconosciuto che il merito di aver reso credibile il film al cast, composto da attori che si sono calati perfettamente nel proprio ruolo.
Scott Lang ha il volto di Paul Rudd, attore che sa come muoversi nel ritmo di una commedia. Gli intermezzi comici hanno beneficiato molto della sua interpretazione, divertente ma mai sopra le righe, ma anzi precisa e puntuale, accompagnata da un’espressività che non può non suscitare simpatia per il personaggio. Ma Lang è un personaggio complesso, con una sua morale che spesso lo mette nei guai (il reato per cui finisce in carcere è un furto alla Robin Hood), con un amore smisurato per la figlia Cassie che non riesce a mostrare in modo corretto, nonostante la bambina lo adori e lo veda come un eroe. È proprio l’affetto per la figlia a spingerlo a cercare di migliorarsi, cercando un riscatto non solo sociale ma anche morale, per poter essere l’eroe che sua figlia crede che lui sia.
E sarà proprio un altro padre, l’Hank Pym di un maestoso Michael Douglas, a correre in soccorso di Scott. Anche Han è un padre, con gli stessi problemi di genitore, costretto a crescere una figlia, Hope, senza una madre, morta in un misterioso incidente di cui non si conoscono i dettagli per metà pellicola; a differenza di Scott, Hank ha varcato la soglia della terza età, per lui il tempo di rimediare ai propri sbagli sta finendo ed ha una sola ed ultima occasione, per recuperare il rapporto con la figlia e salvare il mondo dalla propria scoperta, per anni paurosamente nascosta ed ora rivelata, suo malgrado. Solo un attore del calibro di Douglas poteva riuscire a rendere vivo e reale un personaggio così sfaccettato, diviso tra il suo dovere morale di scienziato e il suo ruolo di padre; vedere l’interazione padre-figlia nella famiglia Pym è intrigante, questo cercarsi e sfuggirsi alternati, come se una qualcosa di profondo legasse Hank e Hope, nonostante la tendenza di ques’ultima a tenere il padre a distanza. La bravura di Douglas emerge anche nelle piccole scene comiche in cui viene coinvolto, quando con un semplice sguardo o una parola detta con un tempismo perfetto riesce a dare il via alla risata liberatoria, alleggerendo la tensione sapientemente accumulata fino a quel punto.
Anche il cattivo di turno ha giovato di una buona interpretazione da parte di Corey Stoll, solitamente ottimo interprete di serial (House of cards, The Strain), che riesce a dare al suo Darren Cross l’animo tormentato del pupillo tradito e vendicativo, scatenando credibili accessi d’ira con un’espressività all’altezza dei suoi colleghi.
Il discorso si complica per l’ultima componente del cast principale, Evangeline Lily, impegnata a dare vita a Hope Pym. Non si capisce se la tenue espressività del suo personaggio sia una scelta del regista o un suo defici, ma, viste anche le sue interpretazioni passate, credo sia la più seconda; per tutto il film regala mezzi sorrisi, poco convincenti espressioni di sentimenti e solo nella scena in cui scopre la verità sulla morte della madre sembra perdere questa sua algida inespressività, senza però convincere del tutto. Eppure il suo ruolo è fondamentale, è la ragione per cui Pym decide di proteggere il segreto di Ant-Man, il motivo per cui viene arruolato Scott e non affidata a lei la missione di distruggere l’arma di Cross; teoricamente nel rapporto Hank-Hope si sarebbe dovuto vedere un parallelo alla relazione Scott-Cassie, eppure la Lily non riesce a supportare Douglas in questo scambio emozionale, che però riesce a ricreare il parallelismo praticamente da solo.
UN CAST AZZECCATO E IN LINEA CON I PROPRI PERSONAGGI RAPPRESENTA LA CHIAVE DI VOLTA DEL SUCCESSO DI ANT-MAN
Ovviamente anche Ant-man ha il suo ruolo nel mosaico dell’universo cinematografico della Marvel, andando a rivestire una parte non da poco.
Già all’inizio vediamo un giovane Hank, nel 1989, lasciare il nascente SHIELD nelle mani di Howard Stark (interpretato da John Slattery, come in Iron man 2) e di Peggy Carter( Hailey Atwell, presto in arrivo con una serie tutta sua e sulla nascita dello SHIELD), in un acceso diverbio tenutosi nella sala principale del Triskelion in costruzione (la sede dello SHIELD in Captain America: the Winter Soldier); nel film si susseguono i riferimenti ad altri personaggi già conosciuti al cinema e la presenza della rinata Hydra, ma il legame più azzeccato è la missione segreta all’interno della base dei nuovi Avengers e il susseguente scontro con Falcon. A completare il ruolo della pellicola nel mosaico Marvel ci penseranno le due scene dopo i titoli di coda, una che potrebbe introdurre un nuovo personaggio e una che getta il ponte per il prossimo film Marvel.
Nel complesso il merito di Ant-Man è di essere un film poliedrico, in grado di accontentare gli appassionati di fumetti, principale target della Marvel, ma anche i semplici curiosi in cerca di una bella storia e qualche risata, senza però tralasciare un po’ di azione. Ant-Man è un film per le famiglie, in cui tutti possono perdersi per staccare la spina e rilassarsi, e magari qualche padre nerd potrebbe veder questo film con la futura generazione di maniaci dei supereroi!