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REQUIEM PER UNA SERIE RIVELAZIONE DELLA SCORSA STAGIONE
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In un film della serie di Scream si assiste a una discussione sui seguiti di film celebri, andando a capire quanto siano importanti e, soprattutto, necessari. Alla fine quasi tutti concordano che i seguiti, il più delle volte, siano nettamente al di sotto della prima pellicola, e ovviamente non ci riferiamo a Il padrino parte 2, L’impero colpisce ancora o Ritorno al futuro – parte seconda visto che non sono veri e propri seguiti ma proseguimenti già programmati di un filo narrativo ben definito.
Oggi pomeriggio stavo guardando la quinta puntata della seconda stagione di True Detective, e quella scena di Scream mi è venuta subito in mente, provate a indovinare perchè?
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IL RISCHIO DI PROPORRE UN NUOVO FORMAT CHE DIVENTA SUBITO CULT E’ DI NON RIUSCIRE A BISSARE IL SUCCESSO, COME STA SCOPRENDO TRUE DETECTIVE
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La prima stagione del serial della HBO è entrato di diritto nella lista di telefilm considerati cult, una serie finalmente nuova sia nel genere che nel suo modo di narrare la vicenda; la trama è dura, spietata e non permette allo spettatore di abbassare la guardia, ma anzi lo guida fin nelle più profonde bassezze dell’animo umano. È una serie che ci prende dal divano e ci sbatte nella macchina con i due detective, siamo nel sedile dietro di loro con il fiato sospeso a pendere dalle loro labbra mentre ascoltiamo le loro ipotesi, vorremmo quasi suggerire una nuova pista da seguire, insomma siamo il terzo detective; gli sceneggiatori, e in particolare il creatore della serie Nick Pizzollatto, hanno ambientato nella Luisiana dei primi anni 90 una vicenda macabra, fatta di segreti e depravazioni, con un sapiente mix di superstizione e magia campagnola, lasciando che a sbrogliare la matassa siano due detective quanto più lontani possibile l’uno dall’altro. La storia in sè è buona, forse non eccelsa ma davvero buona, ma sono le interpretazioni dei due protagonisti a rendere la prima stagione di True Detective un cult al pari di Twin Peaks o I Soprano; Matthew Mcconaughey (finalmente riconosciuto per l’immenso attore che è) riesce a dare al suo Rustin Cohle un’anima vera e tormentata, viene centellinato il suo tormento interiore mente ci regala dei monologhi riflessivi degni di un filosofo, duri e diretti, ci racconta come vede il mondo con la sincerità e apatia di uno scienziato che osserva tutto dal suo microscopio, ma con parole dirette come un pugno allo stomaco. Al suo fianco siede un Woody Harrelson maestoso, capace di dare a quella sua faccia che pare plastilina una serie di sfumature emozionali incredibile, sempre in contrasto alla visione di Rust, ma il detective Hart di Harrelson è uno spaccato della società americana, con le sue luci e le sue tante ombre, l’incarnazione delle critiche dei monologhi di Rust che cerca di difendersi, cambiare e infine perdersi nelle stesse ombre di sempre. Tutto in questa prima stagione profuma di capolavoro, le inquadrature e le scenografie, le musiche sempre azzeccate e soprattutto l’interazione tra i due attori, la loro parabola calante nella vita e la loro redenzione finale, come un percorso iniziatico che li ripresenti alla fine del viaggio finalmente scevri dei loro difetti e con una maggiore consapevolezza del loro posto nel mondo. A rendere ancora più intensa l’interpretazione di McConaughey e Harrelson noi italiani abbiamo potuto deliziarci con i doppiaggi di Adriano Giannini per Rust e il sempre impeccagile Pino Insegno nei panni di Marty; anche nel doppiaggio True Detective si è presentato in una forma smagliante!
[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”La nostalgia di Rust e Marty è davvero tanta” font_container=”tag:p|font_size:14|text_align:center|color:%23dd3333″ google_fonts=”font_family:Roboto%20Slab%3A100%2C300%2Cregular%2C700|font_style:100%20light%20regular%3A100%3Anormal”][vc_single_image image=”6103″ img_size=”full” alignment=”center” img_link_large=”yes”][vc_column_text]
RUST E MARTY SONO L’ANIMA DELLA PRIMA STAGIONE, TORMENTATI E INSENSIBILI AL MONDO, MA SPINTI DA QUALCOSA VERSO UN’ILLUMINAZIONE CHE POSSA DAR LORO UN SENSO DELLA VITA CHE LI RENDA MIGLIORI
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Finita la prima stagione mi sono sentito legato a una serie come non mi accadeva da tempo, vicino ai personaggi, colpito dalle loro parole e su cui,volente o nolente, qualche riflessione me la sono fatta; ne ho parlato con amici, li ho spinti a vedere True Detective e anche loro ne sono rimasti stregati. Finalmente un qualcosa di nuovo, vuoi vedere che finalmente siamo usciti dai soliti schemi dei serial fatti con lo stampino? Sapevo fin dall’inizio che non avrei rivisto il duo Harrelson-McConaughey, lo spirito di True Detective è di presentare ogni stagione una coppia di sbirri diversa; non male, se si riesce a tenere un buon ritmo narrativo, e vedendo il lavoro di Pizzollatto ero pronto a mettere la mano sul fuoco.
Sono sei puntate di ustioni e dolori. La seconda stagione di True Detective è la prima stagione di qualcos’altro, accettiamolo. Sembra che gli sceneggiatori abbiano visto cosa ha funzionato nella prima, hanno preso una scatola riempendola coi punti forti del serial, controllato di non aver dimenticato nulla e infine la abbiano scagliata in un cassonetto; non c’è una sola che funzioni in queste sei puntate, ma manco per errore!
La storia intorno a cui tutto ruota è di una banalità che al confronto I Cesaroni potrebbero vincere un Grammy per la sceneggiatura; ci sono un poliziotto corrotto, un gangster che vorrebe esser onesto, una poliziotta con seri disturbi e un terzo poliziotto che sembra la macchietta gay di turno. No, non è una barzelletta, non si ride ma si piange facendo il paragone con la prima stagione. Il fulcro della storia è che al gangster spariscono i soldi, lui chiede aiuto al vecchio amico poliziotto corrotto (il primo), che quindi indaga sulla morte del presunto ladro (con gli altri due), ma non sa che nel frattempo la disciplinare indaga su di lui (tramite la seconda poliziotta), a sua volta indagata , mentre qualcuno indaga su terzo poliziotto; ho visto partite di Twister meno ingarbugliate , lo giuro. Va bene che si è sempre saputo che ogni stagione sarebbe stata diversa, ma c’è una bella differenza tra diversa e non c’entra una fava!
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CAMBIARE A TAL PUNTO UNA SERIE DA SNATURARLA NON E’ COSI’ FACILE, MA TRUE DETECTIVE HA RAGGIUNTO QUESTO SCOPO CON LA SECONDA STAGIONE!
[/vc_column_text][vc_custom_heading text=”Il cast della seconda stagione di True Detective nel loro entusiasmante squallore!” font_container=”tag:p|font_size:14|text_align:center|color:%23dd3333″ google_fonts=”font_family:Roboto%20Slab%3A100%2C300%2Cregular%2C700|font_style:100%20light%20regular%3A100%3Anormal”][vc_single_image image=”6104″ img_size=”full” alignment=”center” img_link_large=”yes”][vc_column_text]
Il cast non sarebbe neanche tanto male, sebbene non ci siano attori all’altezza dei detective originali.
Il detective Veltoro ha la faccia stanca e invecchiata di un buon Colin Farrell, che cerca di sare spessore a un personaggio forse troppo complesso: corrotto, sfiduciato nel sistema di cui fa lui stesso parte, divorziato dalla moglie in seguito al di lei stupro, con un figlio vittima di bullismo e che, probabilmente, non è nemmeno suo ma dello stupratore della moglie (madre bruna, padre bruno e figlio che sembra la fotocopia di Ron Weasly, e Mendel ride in sottofondo). Farrell cerca in ogni modo di dare profondità a un personaggio con troppe sfaccettature, impegnato su talmente tanti fronti narrativi che sembra costantemente tirato in più direzioni senza riuscire a risolvere nessun aspetto della sua figura.
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Anche il personaggio di Rachel McAdams, la detective Antigone Bezzerides sembra un mosaico malriuscito di sottotrame; figlia di un santone con tanto di comunità al seguito (impersonato da David Morse), con seri problemi di gioco d’azzardo, alcol e atteggiamenti sessuali disinibiti (scusate, ma devo essere politicamene corretto o avrei detto ben altro); per assurdo, è proprio la McAdmas a dare una delle migliori interpretazioni, ma è proprio il personaggio che interpreta a sembrare fuori dal mondo, troppo tutto concentrato in un’unica figura per prenderla per una donna reale.
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Un incredibile Vince Vaughn, solitamente attore da commedia, riesce a dare un segnale di stile alla serie, crecando di impersonare il suo Francys Semyon, il gangster di turno; anche Vaughn deve affrontare lo scoglio di un personaggio delineato malamente, quasi un clichè del mafiosetto che vuol passare alla legalità, anche per le pressioni della moglie (una fastidiosa e impalpabile Kelly Reilly). Credo sia dai tempi de Il Padrino che il mafioso di turno cerca di redimersi, ma la vita (sottoforma di sceneggiatori in blocco da scrittore e privi di fantasia) ogni volta si oppone, e sotto che si riparte a delinquere.
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Ma attenzione, ora arriva la vera perla (anzi, il pirla) della serie. Parliamo di Paul Woodrough, agente della stradale che viene indagato perchè pare che abbia evitato una multa ad un’attrice ai domiciliari in cambio di un favoretto sessuale (gli americani soffrono della Sindrome di Clinton, inutile); per levarlo dalla strada, quale migliore soluzione che non appiopparlo allo scalcinato gruppo di investigatori e rendere il tutto ancora più grottesco? A dargli la faccia è un Taylor Kitsch che offre l’ennesima interpretazione sotto tono (ha recitato talmente male in Wolverine le origini che speravo arrivasse una Sentinella ad ammazzare il suo Gambit), che deve impersonare un uomo che teoricamente è gay, ma non lo accetta (ma si sveglia spesso in letti di altri uomini, cui fa seguire il solito siparietto di disperazione e rimorso), che decide di sposarsi con la sua fidanzata di copertura solo perchè incinta e con cui riesce ad aver rapporti solo dopo abbondanti dosi di viagra. Sembra abbastanza? Ma no, mettiamoci anche che è un ex militare,coinvolto in qualche losca operazione in Afghanistan da cui è tornato con un bel gruzzolo non proprio legale, che decide di usare per il futuro matrimonio ma che, tu guarda, scopre che si è speso la sua adorata mammina, ex ballerina che ha rinunciato alla carriera per lui. Questa madre riesce forse ad esser il solo personaggio credibile, così astiosa e vittima di rimpianti da farci sentire vicini a lei se non altro perchè sembra ergersi sulla massa di personaggi amorfi e stereotipati.
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IL NUOVO CAST, ANCHE SE PIU’ FOLTO, NON RIESCE MINIMAMENTE A REGGERE IL CONFRONTO COL DUO DI INVESTIGATORI DELLA SERIE PRECEDENTE
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Stendiamo un velo pietoso sui personaggi secondari, che sembrano aleggiare nella storia come disperato appiglio degli sceneggiatori per dare una parvenza di organicità a Veltoro e soci; se nelle indagini di Rust e Marty (nostalgia e rimpianto, solo a nominarli) anche l’ultima comparsa aveva un senso, ora ci troviamo di fronte un piattume generale che rende ostico anche iniziare la puntata seguente, figuriamoci arrivare alla fine della stagione! Dalla spettacolare violenza della bucolica Luisiana siamo passati alla giungla urbana di Vinci, paesino a metà strada tra Los Angelese e San Diego; in pratica, la capitale del peccato umano, in cui are che nessuno sia degno di salvarsi. Tutti gli esponenti della vita pubblica sono corrotti, non ci si può fidare di nessuno e appena si voltano le spalle qualcuno cercherà di fregarci (ma hanno ambientato la seconda stagione nel Grande Fratello?); quindi, nemmeno l’ambientazione si salva, diciamoci la verità.
Ma ha ancora senso guardare True Detective? Sinceramente no, non ne vale la pena. Gli ascolti stanno calando anche perchè il titolo avrebbe dovuto esser Fake True Detective, si è cercato di proprorre qualcosa palesemente incongruente con il buon lavoro fatto nella prima stagione come la conferma della solidità della serie, mentre tutti i punti di prestigio accumulati la scorsa stagione sono stati puntualmente stuprati.
Ah stupro! Quasi dimenticavo lo stupro! Sesta puntata, ascolti più in caduta libera di Will Coyote, per risollevare il tutto si pensa di orchestrare una bella orgia con tanto di porno attrici vere (il realismo nelle scene di sesso per la HBO è un vanto, mi sa), in cui Antigone Bezzerides (che anche li, come diavolo fai a creare un personaggio con un nome tanto ridicolo!) si infiltra per indagare, prende dell’ecstasy e mentre partecipa ricorda di uno stupro quando era ragazzina, avvenuto nella comune del padre (comune che sembra essere al centro di tutto l’intrigo!); i pr della serie hanno puntato la loro campagna di rilancio su questa scena (tira più un pelo di….), tutti li pronti a vedere chissà quale serata Arcore (o si scrive hardcore?), e….beh? Tutto li? Sta gran orgia, sto Fidelio alla Kubrick in realtà sembra più casto di una puntata di Uomini e Donne, soprattuto considerando che la stessa HBO ormai ha già fatto vedere di tutto col suo Game of Thrones!
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SE VI E’ PIACIUTO IL PRIMO DUO DI TRUE DETECTIVE CONSIDERATELO COME L’UNICO RACCONTO DI QUESTA SERIE E NON AVVICINATEVI A VINCI!
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Tirando le somme, a metà stagione si può dire che la seconda storia di True Detective non esiste, non è mai decollata perchè non si può far prendere vita al nulla; erroneamente si pensa che personaggi complessi e ricchi di sottotrame possano riscuotere successo ed animare un serial, ma se si lasciano abbandonati a se stessi, i personaggi si bloccano, spinti in troppe direzioni e incapaci di risolvere i propri dilemmi interiori. La scelta di spostare le rilessioni dall’evento principale (la caccia al serial killer della prima stagione) alle vite dei troppi protagonisti, infarcendole con tutti i possibili peccati e vizi umanamente concepibili, è un errore madornale, impedisce di concentrasi sugli aspetti principali della storia e disperde l’attenzione dello spettatore, che ormai si sentre tradito dalla serie.
Caro Pizzollatto, per la terza stagione (se riuscitrete a farla , ma ne dubito) ti suggerisco una bella trama: due sceneggiatori, i nostri nuovi detective, dovranno indagare e scoprire chi si nasconde dietro la misteriosa scomparsa dello spirito di True Detective. Chissà, magari finalmente avremmo di nuovo una serie decente, sicuramente meglio della porcheria che anima Vinci!
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