SHERLOCK 4: IL GRANDE GIOCO- Recensione

20 Gen 2017

Ultima puntata della quarta stagione di Sherlock, un episodio che come di regola in questa season ribalta le regole del gioco delle precedenti stagioni, riportando Sherlock quasi alle sue origini. Come abbiamo visto con Le sei Tatcher e Il detective morente, questa trilogia di storie sono un’indagine all’interno della famiglia Holmes, un viaggio che serve al nostro investigatore per rivelare alcune delle menzogne del suo passato, riscoprendo eventi del proprio passato che erano sepolti sotto strati di false memorie.

Togliamoci subito il pensiero e diciamolo: la trama di questo episodio ha una serie di buchi nella trama che fa impressione. Lo abbiamo già precisato, la linearità della trama e la verosimilità delle storie non sono i punti su cui Gatiss e Moffat hanno basato il successo della serie, in una sorta di continuità con l’opera di Doyle, che spesso forzava le proprie trame per arrivare al risultato desiderato. Eppure lo show funziona, perché la capacità degli showrunner, unita alla perfetta interpretazione del cast, riesce a mantenere alta la tensione dello spettatore, anche creando questo artificioso senso di spaesamento in alcuni punti, avvicinando chi guarda l’episodio al protagonista (spesso, il povero Watson) nello scoprire gli eventi.


SHERLOCK HOLMES AFFRONTA IL PASSATO DELLA PROPRIA FAMIGLIA!


Il grande gioco in questo senso è un esempio perfetto di un episodio di Sherlock, soprattutto considerando che questo season finale potrebbe essere la chiave di lettura dell’intera serie, la soluzione all’enigma che ci segue dal primo episodio: come è diventato così particolare Sherlock? Ecco, finalmente questa risposta ci viene data da chi meglio di tutti lo conosce, ma soprattutto ci perviene tramite una faida familiare che rivela finalmente tutti le macchinazioni ordite nel corso degli anni.

Vi avviso, ci saranno delle anticipazioni, quindi se non avete ancora visto Il grande gioco fate molta attenzione!

Tutto ruota intorno ai tra fratelli Holmes, Mycroft (il maggiore), Sherlock e Eurus (la minore) e agli eventi che li hanno allontanati. Grande parte riveste proprio Mycroft, che fino a questo punto abbiamo sempre visto come un’ombra silenziosa e quasi opprimente sulla vita di Sherlock; con questo episodio il personaggio di Mark Gatiss viene totalmente rivalutato. La condanna del figlio maggiore, spesso,è quella di farsi carico dei segreti della famiglia, proteggere i più piccoli, ed è questa la condanna di Mycroft, che per anni ha scelto di avvolgere in una menzogna non solo Sherlock ma anche i suoi stessi genitori. Ma per scorprilo, Sherlock deve prima accettare la rivelazione di avere una sorella, Eurus, e affrontare il suo più grande dolore, la perdita del suo caro amico Barbarossa. Su questo aspetto, Moffat e Gatiss si sono superati, hanno costruito un gioco degli inganni della mente senza precedenti, facendoci credere per tutto l’episodio che si parlasse del cane di Holmes, fino ad una semplice domanda di Mycroft che ha devfinitvamente aperto l’abisso delle memorie dell’investigatore

Cosa non ti ha mai permesso di avere papà?

La rivelazione. Barbarossa non era un cane ma un amico, il suo amico Victor Trevor (citato da Doyle in il Mistero di Gloria Scott), ed Eurus, gelosa e già pericolosa, aveva scelto di eliminarlo per non venire ignorata dai fratelli. Ecco l’origine di quell’atteggiamento da sociopatico funzionale di Sherlock, il suo peculiare approccio alla gente e la difficoltà nell’aprirsi agli altri, ad affezionarsi, salvo che con Watson.

Come dicevo prima, il vero protagonista di questa puntata però rimane Mycroft, che mai come in Il grande gioco è così approfondito. Viene rivelata la sua difficile posizione, il suo controllo quasi spasmodico di Sherlock diventa una prova di intenso amore fraterno, un sacrificio volontario e mai rimpianto per preservare la sanità mentale di chi si ama. Gatiss è impressionante, rende impossibile non adorare il solitamente borioso Mycroft. Piccolo aneddoto: viene citata la sua interpretazione di Lady Augusta Bracnell, personaggio di Wilde che ne L’importanza di chiamarsi Ernesto nascondeva un segreto riguardo un bambino scomparso.

Giustamente in secondo piano rimane Watson, non per mancato carisma di Freeman (impeccabile come sempre), ma per lasciare il palco al dramma familiare degli Holmes, finalmente giunto all’atto finale, laddove Sherlock, liberato da menzogne e in possesso del proprio passato, può finalmente decidere come vivere i propri legami familiari e non. Per tutto l’episodio Eurus (una meravigliosa Siane Brooke) si accanisce sul fratello, lo vuole mettere alle corde (magnifico l’intermezzo con la povera Molly) senza pietà, a metà fra vendetta per l’averla scordata e la sfida per mostrare chi sia il più intelligente. Gestito male, secondo me, il ritorno di Moriarty , che in questo episodio viene addirittura sminuito al ruolo di pupazzo nelle mani di Eurus (a voi scoprire il “come”)

Magnifico, nulla da dire.

Nonostante la costruzione della trama di Moffat e Gatiss si basi molto sulla parte empatica e la solidità dell’interpretazione degli autori, tutto il contesto dell’episodio concorre alla perfetta riuscita dell’episodio, ma mi sembra giusto citare quei punti oscuri che rimangono alla fine della visione:

  • La confessione di Mycroft: inizio puntata, Mycroft viene forzato a confessare di Eurus tramite una sottile tortura di Sherlock, a base di filmati e suggestioni. Sarebbe da capire come l’investigatore potesse sapere quale film avrebbe visto il fratello, come organizzare l’effetto dei quadri sanguinanti, insomma nemmeno per lui un’impresa da poco!
  • L’esplosione a Baker Street: a metà episodio Eurus riesce a demolire lo studio di Holmes con una granata, tentando di eliminare Sherlock, John e Mycroft. Chi scappa saltando da una finestra, chi per le scale, un’esplosione immane e….niente, zero ferite, lividi o segni, tutti incolumi!
  • La scomparsa di Victor: finché si vede la scomparsa di Barbarossa come un cane perduto, tutto è plausibile, ma scoprendo che è un bambino viene da chiedersi se non sia mai stato cercato, ben sapendo come certe sparizioni mobilitino un gran numero di volontari e forze di polizia; se avvengono in campagna, la prima cosa che si cerca, ad esempio, sono i controlli a pozzi, e corsi d’acqua!

Ora, sono osservazioni di un pignolo, ma che ad una prima visione, con il fattore emotivo ben pompato da recitazione e trama, passano in secondo piano, emergendo solo in seguito, senza comunque scalfire il valore di questo finale.

Ma di stagione o di serie? Perché la chiusura dell’episodio con l’ultimo messaggio di Mary Watson (Che finalmente sentiamo per intero!) sembra essere la giusta chiusura per un ciclo, ma allo stesso tempo la partenza ideale per un nuovo inizio per i due investigatori. Da notare come nell’ultima scena i due escano correndo da Rathbone Palace, un richiamo al nome di Basil Rathbone, attore britannico divenuto negli anni ’40 dello scorso secolo il volto per eccellenza di Sherlock Holmes!

CONCLUSIONI: Il grande gioco chiude la quarta stagione di Sherlock, svelando il passato della famiglia Holmes. Una storia appassionante, narrata in modo tale da trasformare i difetti in segni distintivi della serie, grazie ad una recitazione impeccabile del trio Cumberbatch, Freeman, Gatiss. Che sia anche il finale della serie? IMPERDIBILE!

VOTO FINALE: 8

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