C’è un aspetto in Morgan Lost che mi affascina in modo particolare, un momento ricorrente che vedo come il nocciolo dell’anima di Morgan: il suo pellegrinaggio alla spiaggia dove lo attendono i suoi avversari sconfitti. È difficile che Morgan riesca a catturare un serial killer in modo pacifico, la violenza fa parte di questo contesto narrativo, l’esito di una caccia vede sempre il bounty hunter premere il grilletto o causare la morte dell’assassino in modo indiretto. E noi assistiamo sempre alla scena empatizzando con Morgan, siamo la sua ombra, quasi mai ci chiediamo: ma il cattivo cosa vede, cosa prova?
Ora abbiamo modo di saperlo, perché il 15 esimo albo della serie, I canti dei morti, offre un modo diverso di intendere la vita di Morgan, ci mostra il suo mondo con gli occhi e le parole degli altri, degli sconfitti.
Claudio Chiaverotti decide di creare una storia corale, in cui Morgan è solo un personaggio ricorrente, il fil rouge che amalgama i diversi racconti. Il punto di partenza sembra essere il solo elemento slegato dal resto della trama; in realtà è tutto parte del disegno di Chiaverotti, che con astuzia riesce a creare un elemento di inquietudine e mistero che viene risolto solo nelle pagine finali, dopo un crescendo emotivo che attinge come sempre al suo adorato cinema (in un punto in particolare mi ha ricordato molto il Sesto senso di Shyamalan, in una storia mi son sentito all’intero di The prestige di Nolan). La bellezza di questo numero è in due racconti particolari, quello dedicata alla collega di Morgan, Adah, e nella storia di Didi. La prima mostra un serial killer diverso, più infido e malefico, inarrestabile, ma che nella vittoria di Morgan ci mostra il lato più emotivo del nostro cacciatore; sentendo la vicenda di Didi si respira quel sentore di critica sociale che riesce ad arricchire la trama senza sfociare nel moralismo, un pizzico di pensiero critico messo al punto giusto in modo inappuntabile.
Il finale dell’albo è un vero capolavoro, forse quello più onirico e appassionante visto fin’ora. Dire di più sarebbe un atto di tradimento a chi non ha ancora letto I canti dei morti, ma il perfetto inserimento dell’elemento irreale e il senso quasi mistico, magico che appare nelle ultime tavole, esalta la trama, con un momento di incredibile e malinconica presa di coscienza di Morgan nei confronti di una delle tante donne che vorrebbero far parte della sua vita. Piccolo inciso, non so se sia il caso o una citazione voluta, ma nell’albo compare in una veste inedita nientemeno che un presidente degli Stati Uniti (lascio a voi il gusto di scoprire chi, niente indizi!).
La matita di questo albo è di Cristiano Spadavecchia, che riesce a ricreare in pieno l’atmosfera insolita di questo albo. Specialmente nel ritrarre le due storie citate (Adah e Didi), Cristiano sa rendere il pathos con le espressioni facciali dei personaggi in modo perfetto, ribadendo il suo buon lavoro anche nel ritrarre Morgan nei momenti più intensi ed emotivi. Solito, inappuntabile lavoro dell’Arancia Studio, che con i suoi tre colori canonici per la serie riesce a dare ulteriore profondità a storia e disegni. Fabrizio de Tomaso firma la copertina, ispirandosi ad una delle storia contenute nell’albo, realizzando una buona tavola, ma che personalmente mi ha entusiasmato meno delle precedenti; gusto personale, questo non toglie merito al tratto emozionante di Fabrizio.