L’ultimo figghio della famiglia Mafia, sviluppato da Hangar 13 e Stormind Games e pubblicato da 2K Games, è quel prequel che fa dell’immersività il cardine di tutto. Mafia: Terra Madre è finemente ambientato in una Sicilia di inizi ‘900, precisamente nel 1904, riportando panorami e dettagli ambientali mozzafiato. Dopo cinque anni dall’ultimo titolo, i team di sviluppo sono riusciti a garantire un prodotto che ci fa provare quel sapore di Mafia, non senza cliché e rigidità tecniche del caso.
Vestiamo i panni di Enzo Favara, un caruso che vede i suoi albori narrativi nella miniera di zolfo di Collezolfo, località che sarà centrale nello sviluppo del protagonista. Insoddisfatto della situazione padronale in cui si trova, Enzo – insieme all’amico Gaetano – decide di fuggire verso La Merica. Destino vuole che la volontà del vulcano presente, l’Etna, non faccia scopa con quella di Enzo. Tra una prima azzuffata con il braccio destro di don Spadaro, il Merlo, e una fuga finita nelle terre di don Torrisi, inizia la carriera di Enzo nella stessa famiglia Torrisi.
Le amicizie strette, le scelte prese e le perdite subite hanno decretato le scelte che il protagonista prenderà durante lo sviluppo narrativo. Una narrazione ricca di colpi di scena e supportata tanto da un ottimo cast, l’unica nota che vorrei fare in merito è la poca originalità dello sviluppo della trama; piuttosto scontata, assume perfettamente una struttura ampiamente nota e già vista. La sceneggiatura resta comunque buona, anche se in certi momenti (soprattutto verso la fine) alcune scelte fanno storcere il naso. Una fame di potere che porterà a superare quei legami di onore, rispetto, omertà e tregua che vigono tra le famiglie, in particolare Torrisi e Spadaro, in un’escalation inevitabile di sangue e violenza. Non ci sono collegamenti diretti con gli altri capitoli della saga, se non la famosa città americana di Empire Bay, presente in Mafia e Mafia II, che in questo capitolo viene menzionata diverse volte e viene vista come destinazione per ricominciare una nuova vita.
Come accennato nell’introduzione all’articolo, Mafia: Terra Madre sviluppato dal team statunitense, in collaborazione con quello italiano (siculo per l’esattezza), è l’abecedario delle ambientazioni. Una Sicilia di invenzione ma che richiama chiaramente diverse zone della regione italiana tanto per la qualità quanto per l’immersività. Si badi bene dal collocare i meriti solo al reparto grafico. Il contributo fondamentale, forse al pari della riproduzione ambientale, è il doppiaggio. Giocare un titolo ambientato in Sicilia e doppiato in siciliano ci ha pienamente convinto. Parlando da non siciliano, è apprezzabile e lodevole la scelta del team di sviluppo di voler localizzare il videogioco in siciliano. Immersivo e, molto raramente stridente, il dialetto non è stata la ciliegina sulla torta, ma la crosta fragrante dell’arancino (o arancina, non me ne vogliate). Dunque, rappresenta una parte fondamentale del titolo, senza la quale staremmo davanti ad un buon gioco ambientato in una bellissima riproduzione della Sicilia.
Il gameplay risulta un po’ ingessato e particolarmente guidato. Non rappresenta nulla di innovativo né un upgrade rispetto al predecessore, quasi a voler rimanere ancorati a qualcosa di vecchio. Insomma, una sgrassata alla catena sarebbe stata gradita. Dai combattimenti allo stealth, il titolo è lento, non troppo sfidante e costruito con meccaniche mai veramente rinnovate. In ogni stealth la solita dinamica nemica: due che cianciano e uno di due che, a termine dello scambio, se ne va, lasciando il collega isolato e inerme con le spalle al nostro personaggio. Anche la struttura stessa è semplice e abbastanza piatta visto che non ci sono missioni secondarie ma solo missioni legate alla storia con alcuni collezionabili sparsi per il mondo di gioco e se anche il titolo ci presenta una mappa che sembra open-world, beh non è proprio così visto che possiamo sì esplorarla liberamente in alcune missioni ma senza uno scopo vero e proprio, non ci sarà nulla da scoprire o fare.
La IA non si mostra mai troppo sfidante e intelligente, anche negli scontri a fuoco. Avanzare a occhi chiusi senza coprirsi non è una scelta proprio intelligente. Tuttavia, gli elementi peggiori del titolo sono state le due gare, una di equitazione e l’altra di auto. Immancabilmente scriptate, irreparabilmente non giocate. Hanno rappresentato due momenti di gameplay poco immersivi, nonostante l’evidente desidero di costruire una scena cinematografica all’ultimo metro. I combattimenti principali sono con armi bianche come coltelli che potranno anche essere acquistati con i soldi che troveremo in giro o che guadagneremo dalle missioni e sono combattimenti che le prime volte sono anche divertenti da giocare poi dopo quattro/cinque volte iniziano ad essere abbastanza ripetitivi e si limitano a: contrattacco, schivata, attacco normale e attacco potente.